Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-01-30, n. 202400917
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Testo completo
Pubblicato il 30/01/2024
N. 00917/2024REG.PROV.COLL.
N. 06310/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6310 del 2021, proposto dalla ditta Individuale Automan di A N, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avv. C S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Casalnuovo di Napoli, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avv.ti M L E, L S, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia;
per la revocazione
della sentenza Consiglio di Stato, sez. VI, 3657 del 2021 e la riforma della sentenza T.a.r. per la Campania, sez. II, n. 3816 del 2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti l’atto di costituzione in giudizio e la memoria del Comune di Casalnuovo di Napoli;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore il cons. Giuseppe La Greca;
Udita nell’udienza pubblica del 6 dicembre 2023 l’avv. M L E per il Comune di Casalnuovo di Napoli;nessuno presente per la parte privata;
Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Con ordinanza n. 210 datata 11 settembre 2018 il Comune di Casalnuovo di Napoli ordinava alla soc. Automan di N A lo sgombero dell’« immobile abusivo […] identificato al catasto fabbricati al foglio 11, particella 926, sub 1 », già acquisito al patrimonio comunale ai sensi dell’art. 31 d. P.R. n. 380 del 2001. Ad un tempo, il Comune quantificava in € 590,58 l’indennità mensile « risarcitoria » per occupazione senza titolo dell’unità immobiliare citata.
2.- Avverso detto provvedimento – congiuntamente all’impugnazione dell’ordinanza di demolizione n. 7 del 2013 e della dichiarazione di immissione in possesso e acquisizione n. 23620 del 2013 – la parte privata instaurava il giudizio di annullamento dinanzi al T.a.r., deducendo, in via di estrema sintesi, la circostanza secondo cui la pregressa ordinanza di demolizione n. 7/2013 e l’atto acquisitivo sarebbero stati notificati soltanto nei confronti del proprietario « catastale » del terreno e non anche nei confronti del soggetto responsabile dell’esecuzione dei lavori: ciò in asserita violazione della disciplina che avrebbe obbligato alla notificazione nei confronti del responsabile dell’abuso (art. 31 d. P.R. n. 380 del 2001);in tal senso ne sarebbe derivata la mancata formazione della fattispecie acquisitiva del bene.
3.- Con sentenza n. 3816 del 2019 il T.a.r. per la Campania rigettava il ricorso sul rilievo che:
- l’ordine di demolizione di opere abusive sarebbe stato legittimamente notificato al proprietario catastale dell’area, corresponsabile dell'abuso;
- nel caso di specie, l’ordinanza di demolizione impugnata sarebbe stata notificata al sig. N G (padre di N A, titolare della Ditta individuale odierna ricorrente), in qualità di proprietario dell’opera abusiva e « dunque di soggetto comunque legittimato ed in grado di rimuoverla, in conformità al condivisibile orientamento giurisprudenziale che ritiene che gli ordini di demolizione di costruzioni abusive, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante dell’immobile »;
- non poteva ritenersi, in difetto di qualsiasi valido elemento probante fornito dal predetto sig. N G, che lo stesso non fosse « il vero responsabile dell’abuso, posto che già nel processo verbale di accertamento di violazione di norme edilizie, prot. n. 70/ED del 27.12.12, redatto dagli agenti di P.M e da questo regolarmente conosciuto, il medesimo è stato a suo tempo individuato come proprietario e committente dell’abuso e tale qualificazione non è stata mai contestata dal sig. N G, neppure a seguito del ricevimento della notifica della comunicazione di avvio del procedimento prot. n. 54101 del 28.12.12 »;
- « l’odierno ricorrente si è limitato ad affermare apoditticamente di essere il solo responsabile dell’abuso sanzionato ed assolutamente all’oscuro dei pregressi atti sanzionatori adottati nei confronti del proprietario del suolo, senza apportare alcun elemento probatorio al riguardo, mentre al contrario risulta dagli atti del giudizio che il ricorrente era verosimilmente a conoscenza quanto meno del sopralluogo eseguito dal Servizio Antiabusivismo comunale, unitamente al personale del Comando della P.M., in quanto nel processo verbale di accertamento prot. 70/ED, elevato a carico del sig. N G, i verbalizzanti danno espressamente atto di non avere proceduto al sequestro delle opere abusivamente realizzate in quanto utilizzate dalla Ditta Individuale Automan di A N» .
4.- L’appello avverso la predetta sentenza interposto dalla ditta Individuale Automan di A N era parimenti rigettato con sentenza Cons. Stato, sez. VI, n. 3657 del 2021, previa declaratoria di inammissibilità in forza del divieto di ius novorum della questione inerente all’effetto preclusivo della dedotta usucapione del suolo.
Evidenziava il giudice d’appello che:
- « i provvedimenti sanzionatori sono legittimamente adottati nei confronti dei proprietari catastali degli immobili dovendosi prescindere dagli eventuali rapporti interprivati tra gli autori degli abusi e i proprietari;l’ordine di demolizione è pertanto legittimamente notificato al proprietario catastale dell’area il quale fino a prova contraria è quanto meno corresponsabile dell’abuso ».
- « dagli accertamenti effettuati dalla Polizia municipale e dal servizio antiabusivismo edilizio – non specificamente contestati per tutto il corso del procedimento sanzionatorio – è emerso che proprietario e responsabile dell’abuso è risultato essere il sig. N G al quale sono stati regolarmente notificati l’ordinanza di demolizione (n. 7/13) e d’acquisizione del bene (n. 23620/13) ».
5.1.- La parte privata ha quindi chiesto – in via rescindente, con il ricorso oggetto di odierna trattazione – la revocazione della predetta sentenza d’appello sia ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4 c.p.c., sia ai sensi del successivo n. 5 della medesima disposizione. Ha così articolato le proprie doglianze inerenti ad un doppio profilo di un unico dedotto errore revocatorio, involgente gli effetti dell’asserita usucapione:
a1) quanto ad un primo profilo, la sentenza avrebbe postulato la equiparazione di un accordo di mediazione (tra parti private) ad una mera scrittura privata anziché qualificarlo come titolo esecutivo ex artt. 12 ss. d. lgs. n. 28 del 2010. In tal senso il giudice d’appello avrebbe dovuto ritenere il sig. A N quale proprietario ab origine, ossia fin dall’inizio della situazione possessoria, e ciò in ragione del c.d. principio della retroattività reale dell’usucapione;
a2) in relazione ad un secondo profilo, secondo parte ricorrente la sentenza si rivelerebbe contraria ad « altro provvedimento avente uguale valore giuridico precedente avente fra le parti autorità di giudicato, senza che vi sia stata pronuncia sulla relativa eccezione » in considerazione che essa sarebbe in contrasto con l’accordo di mediazione di cui si è detto, avente – secondo quanto prospettato – autorità di giudicato.
5.2.- La ditta individuale Automan di A N ha, quindi, concluso, in via rescissoria, per l’accoglimento dell’appello.
6.- Si è costituito in giudizio il Comune di Casalnuovo di Napoli il quale ha dubitato dell’ammissibilità del ricorso in revocazione ed ha concluso per l’infondatezza dello stesso.
7.- All’udienza pubblica del 6 dicembre 20233, presente la sola procuratrice della parte pubblica la quale si è riportata alle già rassegnate conclusioni, il ricorso, su richiesta della stessa, è stato trattenuto in decisione.
8.- Il ricorso in revocazione è inammissibile.
9.1.- Nel disegno del codice di procedura civile – al quale, sul tema, l’art. 106 c.p.a. rinvia (artt. 395 e 396 c.p.c.) – la revocazione si configura come rimedio concepito per contrastare una serie, pur circoscritta, di vizi che sono assunti come indici rivelatori della probabile ingiustizia della decisione, giustificando la rimozione della sentenza e la restituzione delle parti nello stato anteriore alla sua pronuncia.
« Con specifico riferimento all’ipotesi prevista dall’art. 395, numero 4), c.p.c., la ratio dell’impugnazione revocatoria per errore di fatto va identificata nell’esigenza di riaprire il processo in ragione di una falsa percezione della realtà processuale, obiettivamente e immediatamente rilevabile, che ha indotto il giudice ad affermare o soltanto a supporre, purché attraverso un’enunciazione espressa nella motivazione, l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti ovvero l’inesistenza di un fatto, parimenti decisivo, che, sempre ex actis, risulti, invece, positivamente accertato.
La nozione di errore di fatto va, dunque, circoscritta – come affermato da questa Corte, in coerenza con la ricostruzione innanzi richiamata – all’ “errore […] meramente percettivo (svista, puro equivoco) e che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa” dell’organo giudicante (sentenza n. 36 del 1991).
[…] La ratio dell’impugnazione revocatoria per errore percettivo riposa sull’assunto che l’accertamento tendenzialmente attendibile e razionalmente controllabile della verità dei fatti identifichi una delle condizioni indefettibili della giustizia del provvedimento giurisdizionale.
E poiché l’attendibilità dell’enunciazione giudiziale dei fatti dedotti a fondamento della domanda di tutela giurisdizionale costituisce estrinsecazione del principio costituzionale del giusto processo, la revocazione assurge a strumento di tutela primario tutte le volte che dalla statuizione deviata dall’errore di fatto, così come definito dalla norma censurata, derivino per la parte conseguenze pregiudizievoli sul piano dell’effettivo soddisfacimento di specifici bisogni di tutela » (Corte cost., n. 89 del 2021).
9.2.- L’ipotesi di revocazione per errore di fatto inerisce « ad una circostanza pacifica, che inoppugnabilmente emerga o meno dagli atti processuali » (Corte cost., n. 36 del 1991).
9.3.- La giurisprudenza amministrativa ha chiarito quali sono i presupposti perché possa rinvenirsi l’errore di fatto « revocatorio », distinguendolo dall’errore di diritto che, come tale, non dà luogo ad esito positivo della fase rescindente del giudizio di revocazione (ex multis, tra le pronunce più recenti, Cons. giust. amm. sic., sez. giur., n. 406 del 2022;n. 923 del 2021 e, Cons. Stato, sez. VI, n. 6422 del 2023;III, n. 5477 del 2023;VI, n. 3321 del 2021;IV, n. 6621 del 2020;n. 2952 del 2020;n. 2024 del 2019;n. 6914 del 2018;n. 6280 del 2018).
9.4.- In particolare, occorre considerare che l'istituto della revocazione è un rimedio eccezionale, che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio, per cui, come d’altra parte sancito dalla stessa lettera dell’art. 395 c.p.c., non sussiste il vizio revocatorio se la dedotta erronea percezione degli atti di causa – che si sostanzia nella supposizione dell'esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, ovvero nella supposizione dell'inesistenza di un fatto, la cui verità è positivamente stabilita – ha costituito un punto controverso e, comunque, ha formato oggetto di decisione nella sentenza revocanda, ossia è il frutto dell'apprezzamento, della valutazione e dell'interpretazione delle risultanze processuali da parte del giudice.
9.5.- Pertanto, sono vizi logici e quindi errori di diritto quelli consistenti nella dedotta erronea interpretazione e valutazione dei fatti o nel mancato approfondimento di una circostanza risolutiva ai fini della decisione ( ex multis : Cons. Stato, sez. III, n. 3471 del 2021;sez. IV, n. 1644 del 2021;n. 6621 del 2020;n. 2977 del 2020;sez. III, n. 6061 del 2018;sez. IV, n. 5347 del 2018;n. 35 del 2018;sez. V, n. 7599 del 2010).
9.6.- In particolare, l'errore di fatto – idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 106 c.p.a. e 395 n. 4 c.p.c. – deve rispondere a tre requisiti:
a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così esistente un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato;
b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa.
Inoltre, l'errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche.
9.7.- Infine, il rimedio revocatorio per errore di fatto risulta utilizzabile anche a fronte di un’omessa pronuncia su domande o eccezioni costituenti il thema decidendum ;tale condizione, tuttavia, perché possa ritenersi sussistente la fattispecie, deve conseguire all’esame della motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché essa è riferibile soltanto all’ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non a quella in cui, al contrario, la decisione sul motivo d’impugnazione risulti implicitamente da un’affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile (cfr., sul punto, Cons. Stato, IV, 29 ottobre 2020, n. 6221;Cons. Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2020 n. 225).
9.8.- In altri termini, affinché la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato possa dar luogo ad un errore di fatto revocatorio, legittimando la parte a proporre la relativa domanda ai sensi del combinato disposto degli artt.106 c.p.a. e 395, comma 1, n. 4, c.p.c., è necessario che l’errore sia configurabile nell’attività preliminare del giudice, relativa alla lettura e alla percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non può coinvolgere la successiva attività di ragionamento, di apprezzamento, di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del suo convincimento, che può prefigurare esclusivamente un errore di giudizio (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 2840 del 2021, che richiama un’ampia giurisprudenza).
9.9.- Mentre l'errore di fatto revocatorio è configurabile nell'attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al significato letterale (senza coinvolgere la successiva attività d'interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni ai fini della formazione del convincimento, così che rientrano nella nozione dell'errore di fatto di cui all'art. 395, n. 4), c.p.c., i casi in cui il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo, esso non ricorre nell'ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione (che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio, non previsto dall'ordinamento).
9.10.- Quanto alla fattispecie ex art. 395, comma 1, n. 5 (la cui previsione sarebbe qui pure violata ad avviso della parte ricorrente, va ricordato che « per costante giurisprudenza […] ai fini dell'applicazione dell'art. 395 n. 5 c.p.a.., perché una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, e, quindi, essere oggetto di revocazione, occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che tra le due vicende sussista una ontologica e strutturale concordanza degli estremi sui quali deve essere espresso il secondo giudizio, rispetto agli elementi distintivi della decisione emessa per prima » ( ex aliis , Cons. giust. amm. sic., sez. giur., n. 648 del 2011).
10.- Calando i suesposti principi al caso di specie, emerge che:
- non sussiste l’addotto errore revocatorio ex art. 395, comma 1, n. 4, in considerazione che il giudice d’appello si è espressamente pronunciato circa l’inammissibilità della questione (non di fatto, ma di diritto) inerente all’effetto preclusivo dell’usucapione del suolo di sedime del capannone abusivo nel procedimento sanzionatorio perfezionatosi in epoca anteriore alla sottoscrizione dell’accordo d’accertamento per usucapione, «in quanto proposta per la prima volta in grado di appello»: la prospettazione della parte privata, attraverso il mezzo di impugnazione, si mostra, qui, all’evidenza, volta a censurare un’ipotesi di errore di giudizio attinente all'attività valutativa del giudice, che come tale esula dall’ambito della revocazione, puntando qui alla trasformazione dello strumento revocatorio in un inammissibile terzo grado di giudizio;
- altrettanto espressamente il giudice d’appello ha ulteriormente affermato, per completezza, l’inopponibilità a terzi (e dunque anche al Comune) dell’« accordo concluso tra l’appellante e il proprio genitore », tanto più al Comune che, in forza del verbale d’immissione in possesso, aveva già acquisito (e trascritto nei registri immobiliari) la res abusiva al patrimonio indisponibile;
- in tal senso il Consiglio di Stato più che equiparare l’accordo di mediazione ad una scrittura privata ne ha evidenziato la radicale irrilevanza ai fini del giudizio stante l’avvenuto passaggio del bene alla mano pubblica e considerato, peraltro, che detto accordo, a tacer d’altro, risultava sottoscritto tra soli privati (di cui uno, tra l’altro, estraneo al giudizio). Ciò che determinava, anche quanto a quest’ultimo profilo, l’inapplicabilità del rimedio revocatorio divisato dall’art. 395, comma 1, n. 5, c.p.c. che, come si è visto, postula identità di parti.
11.- Il ricorso in revocazione è quindi inammissibile.
12.- Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo (art. 26 c.p.a.).