Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-09-06, n. 202106219
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Pubblicato il 06/09/2021
N. 06219/2021REG.PROV.COLL.
N. 02278/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2278 del 2019, proposto da
G G, rappresentato e difeso dall'avvocato R C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di L'Aquila, rappresentato e difeso dall'avvocato D D N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo (Sezione Prima) n. 00297/2018, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di L'Aquila;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Cons. F D L nell'udienza pubblica del giorno 1 luglio 2021, svoltasi ai sensi dell'art.25 Decreto Legge 28 ottobre 2020 n. 137 conv. in L. 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso l'utilizzo di piattaforma "Microsoft Teams”;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, il Sig. G appella la sentenza n. 297 del 2018, con cui il Tar Abruzzo, L’Aquila, ha rigettato il ricorso di primo grado, diretto ad ottenere l’annullamento dell’ordinanza di demolizione di opere abusive n. 45 del 2011, assunta dal Comune di L’Aquila e avente ad oggetto il manufatto sito in località Piana del Campo, via delle Fiamme Gialle, ricadente sul terreno nel n.c.t. al foglio 61, particella 979.
In particolare, secondo quanto dedotto dall’appellante:
- il Sig. G, dopo avere presentato apposito modulo per la richiesta di installazione di manufatti patrimoniali (acquisito al protocollo comunale n. 36926 del 22.9.2010), ha realizzato un’abitazione temporanea sulla base dei criteri stabiliti con deliberazione del Consiglio comunale di L’Aquila n. 58 del 25.5.2009;
- l’Amministrazione intimata ha assunto l’ordinanza n. 45/2011, avente ad oggetto la demolizione del fabbricato in esame, motivata sulla base dell’afferenza del terreno sul quale insiste il fabbricato, da un lato, alla zona “P4” del Piano Stralcio Difesa Alluvioni – PSDA della Regione Abruzzo -e, dunque, in zona considerata a pericolosità idraulica molto elevata e inedificabile-;dall’altro, ad una zona agricola intensiva, ai sensi dell’art. 63 NTA al vigente PRG;
- agendo dinnanzi al Tar Abruzzo, L’Aquila, l’odierno appellante ha impugnato il provvedimento di demolizione, deducendo che: a) l’indicazione di pericolosità “P4” risultava errata e incongrua, anche in relazione ad altre aree di PSDA, aventi lo stesso andamento naturale di campagna e con parità di quota, classificate con il diverso e minore indice di pericolosità “P3”, edificabile, tenuto conto, altresì, di un’inesatta e scorretta individuazione dei limiti delle zone in esame derivante dall’utilizzo delle mappe con scala 1:10000 dell’Istituto Geografico Militare e dalla loro trasposizione sulle mappe catastali aventi una scala di 1:1000;b) la delibera n. 58/2019, sulla base della quale era stato realizzato il manufatto, non poneva alcun divieto di edificazione sui terreni ricadenti in zona agricola intensiva;
- l’assenza di un livello di pericolosità P4 sarebbe stata dimostrata anche dalla sospensione, disposta dal Sindaco di L’Aquila, dell’ordinanza n. 9 del 2013, con cui, in relazione al pericolo di esondazione del Fiume Aterno, era stato disposto lo sgombero e il divieto di uso di tutti i manufatti ricadenti in zona P4 di PSDA;
- peraltro, lo stesso appellante ha trasmesso al Comune in data 30.5.2014 una perizia asseverata, recante uno studio idrogeologico ed idraulico per la valutazione del rischio di esondazione dell’area in esame, con la proposta di declassazione della fascia esondabile a pericolosità molto elevata (P4), attualmente presente, ad area esondabile con pericolosità elevata (P3);l’appellante ha pure chiesto con nota del 30.3.2016 alla competente Autorità di Bacini Regionali e Interregionali Fiume Sangro la riperimetrazione delle aree esondabili e il declassamento del livello di pericolosità del terreno da P4 a P3;
- l’Autorità ha, quindi, rappresentato che sarebbero stati svolti approfondimenti per verificare la richiesta di riduzione della pericolosità idraulica;
- il Comune in data 6.6.2016 ha provveduto ad eseguite il sopralluogo sul terrendo di proprietà del ricorrente per accertare l’avvenuta ottemperanza dell’ordinanza di demolizione, avviando il procedimento di acquisizione dei beni de quibus al patrimonio comunale;
- il ricorrente, in pendenza di giudizio, ha pure presentato un’istanza di permesso di costruire in sanatoria, rigettata dal Comune con provvedimento n. 8 del 2018, motivato con riferimento a profili formali e all’afferenza dell’opera ad un’area a pericolosità idraulica molto elevata non edificabile;
- il provvedimento di diniego è stato impugnato con separato ricorso dinnanzi al Tar Abruzzo;
- il Tar ha rigettato il ricorso diretto contro l’ordine di demolizione;
- all’esito della sentenza gravata, il ricorrente ha sollecitato ulteriormente l’Autorità di Bacino a concludere il procedimento di riperimetrazione delle aree esondabili e, quindi, a provvedere al richiesto riallineamento della realtà cartolare del PSDA con quella (asseritamente) oggettiva dell’effettivo livello di pericolosità idraulica dell’area de qua ;
- all’esito di alcuni approfondimenti svolti su richiesta dell’Autorità di Bacino, il ricorrente ha acquisito un’ulteriore relazione tecnica sulla base della quale emergerebbe che l’edificio è ubicato in un’area a pericolosità P2.
2. Alla stregua di quanto emergente dalla sentenza gravata, il Tar ha rigettato il ricorso, rilevando che:
- dovevano ritenersi inconferenti sia il prospettato richiamo alla pendenza di un procedimento dinanzi all’Autorità di Bacino per la variazione del livello di pericolosità da “P4” a “P3” dell’area interessata sia la circostanza riferita al fatto che l’area in cui sorge il manufatto non sarebbe stata minimamente interessata dalla esondazione del Fiume Aterno del 1° dicembre 2010;
- le disposizioni del Piano adottato dall’ Autorità di Bacino risultavano valide ed efficaci, nonché la legittimità dell’ordine di demolizione andava vagliata alla luce delle disposizioni vigenti al momento della sua adozione;
- risultava, dunque, legittimo il motivo posto dal Comune dell’Aquila a fondamento dell’ordine di demolizione impugnato, tenuto conto che, ai sensi dell’art. 5 della delibera del Consiglio comunale 25 maggio 2009, n. 58 recante “ Criteri per la localizzazione e realizzazione di manufatti temporanei ”- adottata per “ soddisfare le esigenze abitative temporanee dei cittadini …definendo criteri e procedure per localizzazione, realizzazione e successiva rimozione di manufatti temporanei, stante la loro caratteristica di provvisorietà ”- i manufatti temporanei dovevano essere realizzati, tra l’altro, nel rispetto del regime idrogeologico ovvero della disciplina in materia idrogeologica e potevano essere realizzati “ in deroga al regime vincolistico di natura paesaggistica, ambientale, compresi quelli ricadenti nelle aree tratturali ”;
- l’installazione dei manufatti temporanei era consentita soltanto in deroga ai vincoli paesaggistici ed ambientali, ma non in deroga alla disciplina in materia idrogeologica;
- in disparte l’infondatezza, doveva ritenersi irricevibile per tardività, in quanto formulata per la prima volta con la memoria conclusiva del 23 aprile 2018 e non contenuta nelle censure del ricorso, la doglianza con la quale parte ricorrente deduceva che il Comune, nell’applicazione dell’art. 5 della delibera del Consiglio comunale n. 58/2009, sarebbe incorso in una “ macroscopica confusione ”, confondendo la classificazione di un’area con il vincolo idrogeologico;
- quanto all’ulteriore censura proposta, diretta a contestare il secondo motivo posto a fondamento dell’ordine di demolizione (la collocazione del manufatto in zona agricola intensiva come da PRG), poiché il provvedimento impugnato era fondato su due autonomi motivi (c.d. provvedimento plurimotivato), il rigetto della doglianza volta a contestare una delle ragioni giustificatrici (la collocazione in zona a pericolosità idraulica molto elevata) era idoneo a supportare l’ordine di demolizione gravato, con conseguente difetto d’interesse della parte ricorrente all’esame dell’ulteriore censura proposta.
3. Il ricorrente ha appellato la sentenza di prime cure, deducendone l’erroneità con l’articolazione di due motivi di impugnazione.
4. L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio, resistendo all’appello.
5. Con atto del 10 luglio 2020 la parte ricorrente, sulla base di documentazione contestualmente depositata, ha presentato una dichiarazione di rinuncia all’istanza cautelare per inattualità del periculum e contestuale istanza di rinvio al merito.
6. La Sezione con ordinanza n. 4232 del 16 luglio 2020 ha disposto l’abbinamento della trattazione della domanda cautelare al merito, fissando l’udienza di discussione del 30 marzo 2021.
7. L’appellante in data 17 febbraio 2021 ha depositato nuovi documenti concernenti il procedimento di riperimetrazione delle aree esondabili ai fini della variazione del livello di pericolosità idraulica;la stessa parte, con istanza depositata in data 31 maggio 2021, ha chiesto il rinvio dell’udienza pubblica, “ salva la possibilità di una cancellazione della causa dal ruolo ”, richiamando a tale fine la pendenza del procedimento di declassamento del livello di pericolosità idraulica da “P4” a quello asseritamente effettivo “P2” o al limite “P3”, entrambi ritenuti compatibili con una edificazione dell’area e, nella specie, con l’opera per cui è causa.
Il ricorrente, in particolare, ha rilevato che l’auspicato favorevole esito di detto procedimento, in quanto attinente alla sussistenza degli stessi presupposti della ordinanza di demolizione in questione, andrebbe a dirimere il contenzioso oggetto del presente giudizio;così come l’atteggiamento del Comune risulterebbe implicitamente orientato all’attesa della definizione del procedimento amministrativo.
Per l’effetto, il ricorrente ha chiesto un rinvio dell’udienza ad una data da destinarsi, con impegno “ ad aggiornare codesto ecc.mo Consiglio di Stato sui prossimi sviluppi della pendente procedura di declassamento del livello di pericolosità idraulica dell’area e delle correlate azioni amministrative che potrebbero determinare la cessazione della materia del contendere ”.
L’istanza di rinvio è stata giustificata, altresì, sulla base di una nota pec del Comune del 17.11.2020, con cui era stata ritrasmessa all’Autorità di Bacino la documentazione richiesta, recante una relazione tecnica di variazione, una nota integrativa, una tavola di rilievo integrativo, nonché una visura catastale.
8. L’appellante in data 11 giugno 2021 ha depositato una nota mail della Regione Abruzzo in ordine all’istruttoria con esito favorevole, inerente alla proposta di modifica del Piano Stralcio Difesa Alluvioni, “ trasmessa al Dirigente … dell’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Centrale in data 9 giugno c.a .”, probabilmente da discutersi nella riunione della Conferenza operativa del 23 giugno 2021.
9. Con note di udienza del 18 giugno 2021 il Comune appellato ha eccepito l’irrilevanza della documentazione depositata dal ricorrente, avendo il Tar rilevato con statuizione non impugnata la necessità di vagliare la legittimità dell’ordine di demolizione alla luce delle disposizioni vigenti al momento della sua adozione.
Il Comune ha inoltre evidenziato che: il provvedimento impugnato si fonda anche su un’altra ratio decidendi non influenzata dalle censure attoree;è stata rigettata l’istanza di sanatoria presentata dal Sig. G;nonché il ricorrente non sarebbe proprietario dell’area di pertinenza dell’edificio, ragion per cui non potrebbe considerarsi titolato a presentare domanda di rilascio del titolo edilizio.
Il Comune ha, dunque, insistito per il rigetto dell’appello.
10. L’appellante con note di udienza depositate in data 30 giugno 2021 ha insistito nell’istanza di rinvio in relazione alla “ documentata imminente favorevole definizione del procedimento amministrativo di declassamento del livello di pericolosità idraulica dell’area di proprietà del Sig. G ”, nonché, nel merito, ha insistito nei motivi di appello, svolgendo argomentazioni controdeduttive rispetto ai rilievi formulati dall’appellata.
11. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 1° luglio 2021.
12. Preliminarmente, deve essere disattesa l’istanza di rinvio della causa, presentata dalla parte appellante e motivata sulla base della pendenza del procedimento di declassamento del livello di pericolosità idraulica dell’area per cui è controversia.
In subiecta materia deve darsi seguito all’indirizzo giurisprudenziale, secondo cui “ è noto che non esiste norma giuridica o principio di diritto che attribuisca al ricorrente il diritto al rinvio della discussione del ricorso, ancorché motivato dall'esigenza di acquisire i mezzi istruttori necessari per la migliore difesa in giudizio, atteso che la parte interessata ha solo la facoltà di illustrare al giudice le ragioni che potrebbero giustificare il differimento dell'udienza o la cancellazione della causa dal ruolo, ma la decisione finale in ordine ai concreti tempi della discussione spetta comunque al giudice, il quale deve verificare l'effettiva opportunità di rinviare l'udienza, giacché solo in presenza di situazioni particolarissime, direttamente incidenti sul diritto di difesa delle parti, il rinvio dell'udienza è per lui doveroso, e in tale ambito si collocano, fra l'altro, i casi di impedimenti personali del difensore o della parte, nonché quelli in cui, per effetto delle produzioni documentali effettuate dall'Amministrazione, occorra riconoscere alla parte, che ne faccia richiesta, il termine di sessanta giorni per la proposizione dei motivi aggiunti (Consiglio di Stato sez. V, 22/02/2010, n.1032;Cons. Stato, Sez. III, 30 novembre 2018, n. 6823;Consiglio di Stato sez. II, 27/11/2019, n.8100) ” (Consiglio di Stato, sez. III, 3 marzo 2021, n. 1802).
Avuto riguardo al caso di specie, non sussistono quelle “ situazioni particolarissime ” che impongono un rinvio della causa: l’istanza della parte appellante è, infatti, giustificata sulla base della pendenza di un procedimento amministrativo suscettibile di concludersi con un atto irrilevante ai fini della disamina della legittimità del provvedimento impugnato in primo grado, da vagliare, come si osserverà amplius infra , sulla base del regime amministrativo dell’area in esame vigente al tempo dell’adozione dell’ordine di demolizione, in applicazione del principio del tempus regit actum .
A fronte, dunque, delle conclusioni formulate dall’Amministrazione appellata, nel senso di una decisione sul merito della controversia (altresì) in ragione dell’irrilevanza dell’ulteriore documentazione prodotta dall’appellante, tenuto conto dell’inidoneità di un’eventuale modifica del livello di pericolosità idraulica, sopravvenuta rispetto al provvedimento impugnato in prime cure, ad influire sulla decisione della controversia, prevale l’esigenza di sollecita definizione del giudizio, ostativa alla concessione di rinvii non funzionali all’effettivo esercizio del diritto di difesa della parte processuale.
13. Ciò rilevato, si osserva che l’appello è articolato in due motivi di impugnazione, diretti a contestare le autonome rationes decidendi alla base dell’ordinanza di demolizione impugnata in primo grado.
In particolare, il Comune di L’Aquila, constatata la realizzazione di un manufatto in località Piana del Campo, in via Fiamme Gialle, ha rilevato che le opere ricadevano: a) in zona agricola intensiva ai sensi dell’art. 63, così come da P.R.G. del Comune di L’Aquila;nonché b) in zona P4 pericolosità molto elevata, così come da Piano Stralcio Difesa Alluvioni.
Pertanto, considerato che: “ 1) secondo quanto previsto dal vigente PSDA adottato dalla Regione Abruzzo, il suddetto terreno è situato in un’area a pericolosità idraulica molto elevata – P4 soggetta a esondazione, che inibisce ogni attività edificatoria;2) la Delibera di C.C. n. 58 del 25.05.2009, all’art. 5, comma 4, dispone che: “i manufatti stessi … dovranno essere realizzati nel rispetto della normativa antisismica e del vigente regime vincolistico di natura paesaggistica, ambientale ed idro-geologica… ”, ha ritenuto che l’intervento edilizio in parola permanesse abusivamente realizzato e, pertanto, non risultasse possibile permetterne il mantenimento.
14. Con il primo motivo di appello il Sig. G impugna il capo decisorio con cui il Tar ha rigettato le doglianze articolate in prime cure, dirette a dedurre l’illegittimità della prima ratio decidendi, riguardante l’afferenza dell’immobile de quo ad un’area classificata come a pericolosità molto elevata P4 alla stregua di quanto previsto dal PSDA regionale.
Secondo la prospettazione attorea, in particolare:
- la doglianza riferita alla presunta inedificabilità dell’area per via della pericolosità idraulica era stata contestata sin dall’atto introduttivo del primo giudizio;
- il ricorrente aveva, infatti, specificatamente allegato la conformità dell’opera realizzata rispetto alle previsioni e ai criteri della delibera comunale n. 58/09 cit., oltre che l’insussistenza della violazione contestata nell’ordinanza demolitoria in relazione alla qualità dell’area;
- la delibera comunale avrebbe richiesto il rispetto dei vincoli idrogeologici, tuttavia insussistenti sull’area per cui è causa, non potendosi confondere il rischio idrogeologico con il rischio idraulico rilevante ai fini del Piano Stralcio Difesa Alluvioni;
- l’indicazione di pericolosità idraulica molto elevata (P4), risultante dal PSDA, sarebbe stata errata e incongrua, imprecisa e, comunque, non attuale e ormai superata, tenuto conto che in relazione ad altre aree del medesimo piano, aventi lo stesso andamento naturale di campagna e con parità di quota di quella in oggetto, sarebbe stato coerentemente previsto il minore indice di pericolosità P2 o P3, in presenza dei quali sarebbe possibile edificare;come emergente dalle relazioni tecniche in atti;
- peraltro, in occasione dell’esondazione del fiume Aterno dell’ottobre 2013, l’area de qua non sarebbe stata interessata da alcun pericolo idraulico, così come il sindaco del Comune appellato con ordinanza n. 101 del 2013, rilevata l’insussistenza di un incombente pericolo in relazione al fabbricato e all’area in parola, ha sospeso la precedente ordinanza n. 9 del 2013, con cui era stato disposto, in un primo momento, lo sgombero e il divieto di uso di tutti i manufatti ricadenti in zona P4 del PSDA;
- analogamente l’area in parola non sarebbe stata interessata dall’esondazione del fiume Aterno del dicembre 2010, a conferma di come le caratteristiche della zona implicassero una graduazione diversa dell’ipotetico periodo di alluvioni;
- alla stregua di quanto emergente da una relazione tecnica trasmessa al Comune nel 2014 dalla parte ricorrente, era stato anche avviato un procedimento per la riperimetrazione delle aree esondabili, al fine di riallineare la realtà cartolare del PSDA, ritenuto oramai superato, con quella oggettiva circa l’effettivo livello di pericolosità idraulica dei terreni di proprietà;
- il Comune avrebbe, dunque, dovuto tenere conto della “ dimostrazione, dal punto di vista tecnico, dell’assenza di un livello di pericolosità idraulica molto elevata e, comunque, della compatibilità dell’intervento realizzato con il PSDA ” (pag. 12 appello);
- soltanto una piccola porzione del terreno sul quale insiste il manufatto ricadrebbe in area con il livello di pericolosità P4, mentre la parte rimanente afferirebbe alla zona individuata dal PSDA come P3, in cui sarebbe possibile l’edificazione, con modalità e accorgimenti osservati dal ricorrente;
- la ricomprensione di parte del terreno in un’area con livello di pericolosità P4 sarebbe, inoltre, il risultato di un mero errore grafico.
14. In via pregiudiziale, nel rito, devono essere disattese le eccezioni di inammissibilità dell’appello, opposte dall’Amministrazione comunale, argomentate sulla base di circostanze fattuali -quali la disponibilità in capo al ricorrente di altri alloggi nell’ambito del territorio comunale- che, pur essendo idonee ad influire sulla legittimazione del ricorrente al rilascio del prescritto titolo edilizio abilitativo (o, comunque, alla presentazione di un’istanza di installazione di un manufatto provvisorio alla stregua della disciplina speciale dettata dalla delibera comunale n. 58 del 2009), non sono state poste alla base del provvedimento impugnato.
Per l’effetto, il Comune non può introdurre, per la prima volta in sede giurisdizionale, contestazioni riguardanti, ancora prima che l’ammissibilità del ricorso, la stessa legittimazione dell’istante a conservare sul piano sostanziale le opere per cui è causa, altrimenti violandosi il divieto di integrazione giudiziale della motivazione della decisione amministrativa.
Nel processo amministrativo l'integrazione in sede giudiziale della motivazione dell'atto amministrativo è ammissibile infatti soltanto se effettuata mediante gli atti del procedimento - nella misura in cui i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta - oppure attraverso l'emanazione di un autonomo provvedimento di convalida (art. 21-nonies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990). È invece inammissibile un'integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi.
La motivazione del provvedimento, in particolare, costituisce “ l’essenza e il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata” (Consiglio di Stato, III, 30 aprile 2014, n. 2247), e non può certo essere emendata o integrata, quasi fosse una formula vuota o una pagina bianca, da una successiva motivazione postuma, prospettata ad hoc dall’Amministrazione resistente nel corso del giudizio ” (Consiglio di Stato, sez. V, 10 settembre 2018, n. 5291).
Per l’effetto, non possono essere accolte eccezioni comunali che, pur tendendo ad ottenere la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, sono incentrate su autonome ragioni ostative alla conservazione dell’immobile per cui è causa, in ipotesi suscettibili di fondare l’ordine di demolizione, non esplicitate nell’ambito del provvedimento impugnato.
15. L’appello, benché ammissibile nel rito, non può trovare accoglimento nel merito.
16. L’immobile per cui è causa ricade in zona agricola intensiva e, come tale, è soggetto alla disciplina dettata dall’art, 5.4 all. A alla delibera n. 58/09 cit., secondo cui in tali zone “ è possibile l’installazione temporanea di manufatti ad uso residenziale anche da soggetti non operatori agricoli e nel limite massimo di 95 mq di superficie utile. […] I manufatti stessi dovranno rispettare le distanze dai confini, strade e fabbricati come da norme in vigore e dovranno essere realizzati nel rispetto della normativa antisismica e del vigente regime vincolistico di natura paesaggistica, ambientale e idrogeologica, anche a soggetti non operatori agricoli e nel limite massimo di 95 mq di superficie utile. I manufatti provvisori potranno essere realizzati in deroga al regime vincolistico di natura paesaggistica, ambientale compresi quelli ricadenti nelle aree tratturali. L’eventuale successiva istanza di trasformazione dei manufatti da temporanei a permanenti sarà consentita esclusivamente nel rispetto dei parametri edilizi e urbanistici della zona interessata, della legislazione vigente e secondo le ordinarie procedure autorizzative ”.
Secondo la prospettazione della parte ricorrente, dovrebbe operarsi una distinzione tra vincolo idrogeologico ex r.d.l. 30.12.1923, n. 3267 - posto a tutela del suolo, funzionale alla preservazione dell’ambiente fisico, al fine di garantire che tutti gli interventi suscettibili di interagire con il territorio non compromettano la stabilità dello stesso- e rischio idraulico, graduato secondo appositi livelli di pericolosità, tenuto conto delle conseguenze dannose suscettibili di prodursi dall’esondazione di un corso d’acqua.
Nella specie, la riconducibilità di parte dell’opera per cui è controversia ad un’area con livello di pericolosità idraulica molto elevata non sarebbe idonea ad integrare gli estremi del vincolo idrogeologico, ostativo alla realizzazione dei manufatti ex delibera n. 58/09 cit.
La prospettazione attorea è infondata.
16.1 Avuto riguardo al dato letterale, la disciplina straordinaria dettata dalla delibera n. 58/09 non reca un riferimento ai vincoli idrogeologici ai sensi del r.d.l. 30.12.1923, n. 3267, ma opera un generale riferimento al regime vincolistico di natura idrogeologica, locuzione di ampia portata, suscettibile di comprendere ogni limite all’esercizio dello jus aedificandi posto a garanzia della conservazione dell’assetto idrogeologico del territorio, ostativo ad interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia idonei a produrre un dissesto idrogeologico, inteso come “ condizione che caratterizza aree ove processi naturali o antropici, relativi alla dinamica dei corpi idrici, del suolo o dei versanti, determinano condizioni di rischio sul territorio ” (art. 54 D. Lgs. n. 152/06).
Pertanto, un divieto di edificazione in zona soggetta a pericolo alluvionale, in quanto afferente ad un’area in cui l’interazione dell’attività edilizia con la dinamica dei corpi idrici è idonea a produrre una condizione di rischio sul territorio, suscettibile di esporre a pericolo pure l’incolumità individuale, fa ritenere la zona interessata come compresa nel regime vincolistico di natura idrogeologica posto come limite all’edificazione dalla delibera n. 58/09.
16.2 Sotto il profilo teleologico, inoltre, la delibera in esame introduceva un regime derogatorio, dettato in via straordinaria e temporanea dal Comune di L’Aquila per fronteggiare l’emergenza abitativa conseguente ai diffusi e rilevanti danni strutturali provocati dal sisma del 6 aprile 2009.
Con la delibera n. 58 del 25 maggio 2009, in particolare, il Consiglio comunale del Comune dell’Aquila ha inteso “ soddisfare le esigenze abitative temporanee dei cittadini nonché quelle relative allo svolgimento di attività connesse alla residenza definendo criteri e procedure per localizzazione e realizzazione di manufatti temporanei, prevedendo tuttavia la loro conseguente rimozione, stante la loro caratteristiche di provvisorietà ” (premesse criteri sub doc. 1 ricorso in appello).
Il regime straordinario in parola, pertanto, aveva la funzione di assicurare ai cittadini aquilani, colpiti dall’evento sismico, non aventi più la disponibilità di un’immobile agibile da destinare ad abitazione, di realizzare provvisoriamente manufatti temporanei per fronteggiare l’emergenza abitativa così emersa.
Sebbene tali interventi edilizi potessero essere svolti in deroga all’ordinaria disciplina urbanistica ed edilizia, preposta ad assicurare l’ordinato sviluppo del territorio, non poteva certamente ammettersi l’edificazione di immobili in situazioni di pericolo per l’incolumità della cittadinanza.
Pertanto, l’afferenza di un manufatto ad un’area in cui, secondo apposita classificazione amministrativa, emergeva un livello di pericolosità molto elevata (P4 del PSDA), ostativo all’edificazione, non poteva ritenersi compatibile con le esigenze di tutela sottese alla prescrizione del divieto di installazione dei manufatti provvisori in esame in zone soggette a regime vincolistico di natura idrogeologica;di conseguenza, l’edificazione in zona classificata come P4 del PSDA non poteva ritenersi giustificata sulla base della disciplina emergenziale in esame.
16.3 Una tale conclusione è imposta anche dalla natura eccezionale della disciplina dettata dalla delibera n. 58 del 25 maggio 2009, come tale da intendere restrittivamente ai sensi dell’art.14 disp. prel c.c.
Consentendo la delibera comunale l’edificazione in deroga rispetto al regime vincolistico, la deroga non potrebbe essere applicata oltre i casi da essa considerati, dovendo essere intesa restrittivamente.
Il che evidenzia la necessità di evitare un’eccessiva compressione del regime vincolistico altrimenti operante, posto a tutela, peraltro, anche di beni costituzionalmente rilevanti.
Per l’effetto, si conferma la necessità di restringere l’area della deroga amministrativa, posta dalla disciplina emergenziale in commento, evitando di comprendervi anche il regime vincolistico dettato dal Piano stralcio di difesa dalle alluvioni, le cui previsioni devono intendersi comunque operanti a regolazione dell’assetto del territorio.
16.4 Alla stregua delle considerazioni svolte, l’appello non merita favorevole apprezzamento nella parte in cui, introducendo una distinzione tra rischio idrogeologico ex r.d.l. 30.12.1923, n. 3267 e rischio idraulico, tende ad asseverare l’edificazione in aree ad elevato pericolo idraulico, disattendendo un regime vincolistico funzionale alla protezione (altresì) dell’incolumità individuale.
17. L’appello non risulta fondato neppure nella parte in cui deduce l’erroneità delle previsioni di piano o, comunque, il difetto di corrispondenza tra la classificazione operata dal PSDA e l’effettivo stato di luoghi.
17.1 Il Piano stralcio di difesa dalle alluvioni in attuazione configura un atto amministrativo (di pianificazione e programmazione, ai sensi dell’art. 17, comma 6 ter, L. n. 183 del 1989 - oggi art. 65, comma 8, D. Lgs. n. 152/06), finalizzato all’individuazione e alla perimetrazione delle aree a rischio alluvionale (con l’indicazione dei livelli di pericolosità) e alla loro sottoposizione a misure di salvaguardia, in specie a garanzia dell’incolumità personale e della sicurezza delle opere pubbliche e private.
Il piano in esame costituisce, dunque, l’atto presupposto rispetto al provvedimento di demolizione, che risulta essere stato assunto in ragione (altresì) della violazione dei divieti di edificazione dettati dalla disciplina di pianificazione a difesa dalle alluvioni.
Ne deriva che il ricorrente non potrebbe censurare l’erroneità della disciplina di piano, al fine di ottenere l’annullamento del dipendente provvedimento di demolizione, altrimenti addivenendosi ad un’inammissibile disapplicazione dello strumento pianificatorio per la pronuncia sul dipendente atto sanzionatorio.
17.2 Al riguardo, si osserva che, ai fini della disapplicazione, occorre:
- da un lato, che il rapporto litigioso sia regolato (altresì) da apposita norma giuridica regolamentare, connotata – come chiarito dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (n. 5 del 2019) - dai caratteri dell’astrattezza (intesa come capacità della norma di applicarsi infinite volte a tutti i casi concreti rientranti nella fattispecie descritta in astratto), della generalità (intesa come indeterminabilità, sia ex ante che ex post, dei destinatari della norma) e dell’innovatività (ovvero la capacità di modificare stabilmente l’ordinamento giuridico);
- dall’altro, che tale norma regolamentare si ponga in termini di palese contrapposizione con il disposto legislativo primario, dovendosi in tali casi fare luogo, nel rispetto del principio gerarchico e di successione delle norme nel tempo, all’applicazione della norma primaria e alla mancata applicazione di quella secondaria (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 16 giugno 2017, n. 2958).
Sotto il primo profilo, avuto riguardo alle disposizioni dirette a regolamentare l'uso del territorio, contenute nel piano regolatore generale o in analoghi strumenti (con rilievi, dunque, estendibili anche al PSDA in analisi), occorre richiamare la distinzione tra: a) le prescrizioni che in via immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata (nel cui ambito rientrano le norme di c.d. zonizzazione, la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici, la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo);b) le altre regole che disciplinano le modalità dell'esercizio dell'attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano e nel regolamento edilizio (disposizioni sul calcolo delle distanze e delle altezze, sull'osservanza di canoni estetici, sull'assolvimento di oneri procedimentali e documentali, regole tecniche sull'attività costruttiva), recanti prescrizioni a carattere normativo e programmatico, aventi la precipua funzione di essere destinate a regolare la futura attività edilizia (Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 febbraio 2016, n. 475). La disapplicazione potrebbe operare, infatti, in relazione alle sole norme aventi carattere normativo.
Sotto il secondo profilo, afferente al contrasto tra fonte regolamentare e fonte legislativa, ai fini della disapplicazione, occorre “ un’effettiva antinomia tra fonti rispetto alla posizione della regola iuris che costituisce il parametro di valutazione della legittimità del provvedimento amministrativo impugnato e non un contrasto qualsiasi tra la legge ed il regolamento, per cui quest’ultimo possa essere illegittimo sotto un altro e diverso profilo (come può essere nel caso di disposizioni regolamentari che vadano soltanto praeter legem: C.d.S., sez. VI, 29 maggio 2008, n. 2536;ovvero in quello dell’attribuzione della competenza funzionale tra diverse amministrazioni: C.d.S., sez. VI, n. 1 del 2015 cit.), nel quale ultimo caso si verte, invece, di un vizio dell’atto normativo regolamentare al cui rilievo è funzionale l’ordinario sistema impugnatorio (C.d.S., sez. VI, n. 1 del 2015 cit.;sez. V, 3 febbraio 2015, n. 515) ” (Consiglio di Stato, sez. II, 9 gennaio 2020, n. 219).
In siffatte ipotesi, la disapplicazione della fonte regolamentare si sostanzia in un’operazione ermeneutica delle norme che disciplinano il rapporto controverso, per cui può essere compiuta d'ufficio dal giudice e, anche, per la prima volta, in grado d'appello, qualora nella definizione della regula iuris rilevante ai fini della soluzione della controversia, sussista un insanabile contrasto tra la norma secondaria di regolamento e la norma primaria.
17.3 Avuto riguardo al caso di specie, le previsioni censurate dall’odierno ricorrente riguardano la perimetrazione dell’area di pericolosità idraulica molto elevata.
L’appellante ritiene, in particolare, che il terreno su cui insiste l’opera per cui è controversia non presenti le caratteristiche tali da permettere la sua classificazione con un livello di pericolosità idraulica P4 e comunque che la classificazione P4 sia frutto di un errore in cui sia incorsa l’Amministrazione.
Ne deriva che le censure in esame, da un lato, concernono una previsione non avente natura normativa, bensì amministrativa, recando una perimetrazione di una porzione di territorio, assoggettata ad uno specifico regime (anche) edificatorio, nella specie di classificazione della zona come ad elevato pericolo idraulico con conseguente divieto di edificazione di opere quali quella di specie;dall’altro, si riferiscono ad una difformità tra stato di fatto e classificazione operata dall’Autorità amministrativa.
Di conseguenza, non sussisterebbero i presupposti per disapplicare il Piano in esame ai fini dell’annullamento del provvedimento (dipendente) di demolizione, in quanto:
- non si farebbe questione di norme regolamentari (emergendo previsioni amministrative);nonché
- il ricorrente non deduce una difformità del Piano rispetto ad una norma sovraordinata, bensì contesta gli apprezzamenti tecnici alla base della valutazione di pericolosità dell’area in esame o comunque errori nella perimetrazione delle aree;sicché il relativo vizio, concernendo un travisamento dei fatti o, comunque, un’erronea valutazione tecnica, non implica un insanabile contrasto tra norma secondaria e norma primaria, che solo giustifica il ricorso alla disapplicazione, intesa come operazione ermeneutica da svolgere nell’individuazione della regula iuris da applicare a soluzione della controversia.
La natura provvedimentale delle disposizioni del piano e la loro immediata lesività per la sfera giuridica del ricorrente avrebbero richiesto la tempestiva impugnazione dell’atto presupposto, ai fini del suo annullamento, non configurandosi in proposito un potere di disapplicazione da parte del giudice amministrativo.
17.4 Alla stregua delle considerazioni svolte, il Tar ha correttamente evidenziato come, ai fini della valutazione della legittimità dell’ordine di demolizione, dovesse aversi riguardo alla disciplina di piano presupposta, pure rilevando che “ le disposizioni del Piano adottato dall’ Autorità di Bacino sono valide ed efficaci fino a quando non sono annullate in autotutela dall’Amministrazione oppure in sede giurisdizionale dal giudice munito di giurisdizione (Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche) ”.
L’odierno appellante, dunque, non potrebbe invocare nel presente giudizio, ai fini dell’annullamento del dipendente provvedimento di demolizione, l’illegittimità ( in parte qua ) del piano per la difesa dalle alluvioni, facendosi questione di previsioni pienamente efficaci - in quanto non annullate in sede giurisdizionale o amministrativa-, anche con riferimento alla disciplina della edificabilità dei suoli per cui è causa.
Il Comune, pertanto, ha correttamente posto a base del proprio ordine di demolizione, l’inosservanza della disciplina di piano presupposta – non censurabile nel presente giudizio, pena un’inammissibile sua disapplicazione-, per effetto della realizzazione di opere private in una zona classificata come di pericolosità idraulica molto elevata, in cui era preclusa l’attività edificatoria.
18. La legittimità dell’ordine di demolizione non potrebbe essere contestata neppure rilevando che: a) la zona in questione non sarebbe stata interessata da alluvioni, pure verificatesi negli anni precedenti nell’ambito territoriale di riferimento;b) il Comune avrebbe escluso la sussistenza di un pericolo per l’incolumità personale;c) penderebbe comunque un procedimento per declassificare il rischio idrogeologico riferito alla zona in contestazione.
18.1 In primo luogo, si osserva che “ la legittimità di un atto amministrativo va accertata con riguardo allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio del tempus regit actum ” ( ex multis , Consiglio di Stato, sez. II, 8 marzo 2021, n. 1908).
La zona su cui insiste il manufatto oggetto dell’ordine di demolizione, alla data dell’adozione del provvedimento sanzionatorio censurato in prime cure, risultava classificata come avente un’elevata pericolosità idraulica (P4), ragion per cui l’Amministrazione, rilevata la violazione del regime vincolistico posto dalla disciplina di piano, ne ha legittimamente ordinato la demolizione.
L’eventuale modifica del livello di pericolosità idraulica non potrebbe incidere sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione, introducendo pro futuro un nuovo regime amministrativo , insuscettibile di configurare un parametro di legittimità del provvedimento per cui è causa.
18.2 Parimenti, la circostanza per cui soltanto parte del manufatto afferisca alla zona P4 (di elevata pericolosità) non rileva in senso ostativo all’applicazione della sanzione ripristinatoria, che non avrebbe potuto essere limitata ad una porzione dell’immobile.
La possibilità di demolizione parziale ex art. 34 DPR n. 380 del 2001, opera soltanto per le modificazioni che riguardino elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera.
In particolare, secondo la giurisprudenza di questo Consiglio, “ il concetto di parziale difformità presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall'autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale, quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera;mentre si è in presenza di difformità totale del manufatto o di variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, quando i lavori riguardino un'opera diversa da quella prevista dall'atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione ” ( ex multis , Consiglio di Stato, sez. VI, 1 marzo 2021, n. 1743).
Ai fini sanzionatori, inoltre, il D.P.R. n. 380 del 2001 distingue gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, per i quali va disposta la demolizione, dagli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, per cui la disciplina sanzionatoria, recata dall'art. 34 DPR n. 380/01, contempla anche la possibilità di applicazione della sanzione pecuniaria, nel caso in cui la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità (Consiglio di Stato Sez. II, 17 febbraio 2021, n. 1452;Id., Sez. VI, 15 febbraio 2021, n. 1388).
Nella specie, la difformità rispetto al titolo extra ordinem che autorizzava l’edificazione in deroga (delibera comunale n. 58/09) afferisce ad un elemento essenziale, quale l’ubicazione, preclusa nelle zone classificate con livello di pericolosità idraulica P4 (alla stregua delle presupposte previsioni del PSDA).
Emerge, dunque, una difformità essenziale suscettibile di determinare l’integrale demolizione dell’opera.
18.3 Parimenti irrilevante è la condotta amministrativa assunta dal Sindaco del Comune di L’Aquila, tradottasi nella sospensione degli ordini di sgombero dei fabbricati ricadenti nell’area classificata con il livello di pericolosità P4, non essendo idonea ad interferire sul regime amministrativo della zona in esame e, dunque, sul relativo divieto di edificazione, la cui violazione giustifica l’adozione della sanzione ripristinatoria impugnata in primo grado.
18.4 Infine, non si potrebbe neppure rilevare che negli anni passati non vi sarebbero state alluvioni interessanti la zona in esame, facendosi questione di una circostanza meramente fattuale che, da un lato, non è idonea a mutare il regime amministrativo dell’area per cui è causa, correttamente valorizzato nel provvedimento impugnato in primo grado, dall’altro, non consente di escludere la possibilità che in futuro fenomeni alluvionali si verifichino (anche) nell’area de qua ;in applicazione del principio di precauzione -che, anche in presenza di incertezze riguardo all'esistenza o alla portata di rischi, consente l’adozione di misure di protezione senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l'effettiva esistenza e la gravità di tali rischi (cfr. Consiglio di Stato Sez. IV, 27 marzo 2017, n. 1392)-, occorre, infatti, evitare l’insorgenza di rischi (altresì) per l’incolumità individuale, pure suscettibili di derivare dall’edificazione in zone classificate come ad elevato rischio idrogeologico.
19. Le considerazioni svolte conducono al rigetto del primo motivo di appello, relativo ad un’autonoma ratio decidendi , riguardante la violazione della disciplina del PSDA.
Per l’effetto, deve essere confermato anche il capo decisorio, oggetto del secondo motivo di appello, con cui il primo giudice ha assorbito le censure riferite alla seconda ratio decidendi alla base dell’ordine di demolizione, riguardante l’edificazione in zona agricola intensiva;ritenuta, invece, dal ricorrente non ostativa all’edificazione alla stregua di quanto previsto dalla disciplina di cui alla delibera comunale n. 58/2009.
Il Tar ha correttamente applicato il principio di diritto per cui, a fronte di un atto plurimotivato, è sufficiente riscontrare la legittimità di una delle autonome ragioni giustificatrici della decisione amministrativa, per condurre al rigetto dell’intero ricorso, tenuto conto che, anche in caso di fondatezza degli ulteriori motivi di doglianza riferiti alle distinte rationes decidendi poste a fondamento del provvedimento amministrativo, questo non potrebbe comunque essere annullato in quanto sorretto da un’autonoma ragione giustificatrice confermata in sede giurisdizionale.
Questo Consiglio, in particolare, ha precisato che “ in presenza di un atto c.d. plurimotivato è sufficiente la legittimità di una sola delle giustificazioni per sorreggere l’atto in sede giurisdizionale;in sostanza, in caso di atto amministrativo, fondato su una pluralità di ragioni indipendenti ed autonome le una dalla altre, il rigetto delle censure proposte contro una di tali ragioni rende superfluo l’esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento (Cons. Stato, sez. V, 14 giugno 2017, n. 2910;sez. V, 12 settembre 2017, n. 4297;sez. V, 21 agosto 2017, n. 4045)” (Cons. Stato, IV, 30 marzo 2018, n. 2019) ” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 17 settembre 2019, n. 6190).
Pertanto, una volta riscontrata la violazione della disciplina del PSDA e, per l’effetto, ritenuta legittima un’autonoma ratio decidendi del provvedimento impugnato in prime cure, non occorreva esaminare le censure riferite alla seconda ratio decidendi , relativa all’edificazione del manufatto in zona agricola intensiva, la cui ipotetica fondatezza non avrebbe potuto comunque arrecare alcuna utilità concreta in capo al ricorrente, essendo inidonea a determinare l’annullamento del provvedimento impugnato in prime cure, comunque da confermare nel suo contenuto dispositivo perché sorretto da un’autonoma ragione giustificatrice immune dai vizi censurati in giudizio.
20. Il ricorso in appello, alla luce delle considerazioni svolte, deve essere rigettato e, per l’effetto, deve confermarsi la sentenza impugnata.
Le spese processuali del grado di appello sono regolate in applicazione del criterio della soccombenza, a carico della parte appellante, nella misura liquidata in dispositivo.