TAR Catania, sez. I, sentenza breve 2022-04-21, n. 202201136
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Pubblicato il 21/04/2022
N. 01136/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00395/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 395 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato P S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale Catania, domiciliataria ex lege -OMISSIS-, via Vecchia Ognina, 149;
per l'annullamento
1) della nota prot. n.-OMISSIS-. dell'Area I Ter, della Prefettura -OMISSIS-, -OMISSIS-, con cui è fatto divieto al sig. -OMISSIS-, appartenente alla Polizia di Stato, di detenere armi, munizioni e materie esplodenti, e di cedere nel termine di gg.150 dalla notifica del citato provvedimento quelle in suo possesso;
2) di ogni atto antecedente, connesso e consequenziale, ivi espressamente compresi: a) la nota della -OMISSIS-– Divisione Polizia Amministrativa e Sociale e dell'Immigrazione – cat.-OMISSIS-, del -OMISSIS-, di proposta di adozione di un provvedimento di detenzione di armi;
b) del parere -OMISSIS-
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 aprile 2022 il dott. P M S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente è Assistente Capo della Polizia di Stato, operante -OMISSIS-.
In data -OMISSIS-, gli è stato comunicato avvio del procedimento, ex artt. 7 e ss. della L. n.241/1990, per l’adozione di provvedimento di divieto di detenzione di armi, in relazione a procedimento penale del 2017, per i reati di cui agli artt. 81, 326 comma 3°, 328 e 378 c.p..
In relazione a tale comunicazione, il ricorrente ha presentato, in data 4.3.2019, memorie scritte, rilevando che:
1) il Tribunale -OMISSIS-avesse emesso mesi prima la revoca dell’ordinanza di custodia cautelare, non ritenendo sussistenti elementi atti a giustificare il ricorso a misure di tipo custodiale;
2) fosse stata disposta esclusivamente la misura della sospensione temporanea dal servizio, che stava per scadere.
Nel 2019, il ricorrente è stato riammesso in servizio e, in data 23 ottobre 2019, gli è stata peraltro restituita l’arma in dotazione, proprio in ottemperanza a Decreto del Questore di Catania, al prot. n.-OMISSIS-.
Dal 2019 al 2022 il ricorrente ha regolarmente svolto il suo servizio, con l’‟arma in dotazione”.
Il 27 gennaio 2022, il ricorrente ha avuto notificato il provvedimento prot. n.-OMISSIS-. dell’Area I Ter, della Prefettura -OMISSIS-, datato 19.1.2022, con cui gli è stato fatto divieto di detenere armi, munizioni e materie esplodenti e di cedere nel termine di gg.150 quelle in suo possesso.
Con ricorso notificato il 7.3.2022 e depositato il 15.3.2022, il ricorrente ha impugnato siffatto provvedimento, affidandosi alle seguenti censure:
1) Violazione dell’art. 2 della L. n.241/1990 e s.m.i.;Violazione del D.P.C.M n. 214 del 10.10.2012;Violazione del D.P.C.M. n.58 del 21.3.2013;eccesso di potere: il superamento abnorme di qualsivoglia termine di conclusione del procedimento amministrativo.
Assume parte ricorrente che il provvedimento impugnato è stato adottato ben oltre il termine previsto per la conclusione del procedimento di competenza del Ministero dell’interno, che, al più, nel caso di specie, secondo quanto stabilito nei DD.P.C.M n. 214 del 10.10.2012 e n. 58 del 21.3.2013, ossia i due regolamenti di attuazione dell’articolo 2, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, sarebbe di 180 giorni successivi alla comunicazione di avvio del procedimento.
2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, comma 1, e 6, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241. Violazione dell’art. 39 del R.D. n.733 del 18.6.1931. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione.
La motivazione fornita dal provvedimento impugnato sarebbe insufficiente in ordine alla individuazione della capacità del ricorrente di abusare delle armi e non avrebbe tenuto conto che il Tribunale -OMISSIS-aveva revocato la misura degli arresti domiciliari al ricorrente e che dal recente certificato penale del casellario giudiziale del 12.2.2022 nulla risultava a suo carico.
Inoltre, dal 2019 al ricorrente era stata restituita l’arma di servizio e il suo atteggiamento era
stato irreprensibile e, anzi, nel 2021 aveva avuto addirittura compiacimento del Questore
per l’attività svolta.
3) Eccesso di potere per contraddittorietà manifesta dell’azione della p.a. ed illogicità manifesta.
La restituzione dell’arma di servizio costituirebbe, in assenza di nessuna ulteriore novità in punto di fatto, motivo di contraddizione, oltre che di illogicità manifesta, rispetto al provvedimento impugnato.
L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio per avversare le conclusioni del ricorrente.
All’Udienza camerale del 13.4.2022 il ricorso è stato trattenuto, previo avviso alle parti presenti, per essere deciso con sentenza in forma semplificata.
II. Il Collegio ritiene di poter definire la vicenda con sentenza in forma semplificata adottata ai sensi dell’art. 60 c.p.a..
Infondato è il primo motivo di ricorso.
Invero (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 13/09/2021, n.6255), «per costante giurisprudenza, il termine di conclusione del procedimento amministrativo, previsto dall'articolo 2 della legge n. 241/1990, non ha natura perentoria ed il suo mancato rispetto, pur dando luogo alle conseguenze previste dal medesimo articolo 2 e dal successivo articolo 2-bis della medesima legge n. 241/1990, non incide di per sé sulla validità del provvedimento successivamente adottato (in termini Cons. Stato, sez. III, sent. n. 2019 del 2016;sez. V, sent. n. 4980 del 2013).
Sono, altresì, infondate le due ulteriori censure che possono essere trattate congiuntamente.
In somma sintesi, il ricorrente rinviene nel provvedimento impugnato un’intima contraddizione derivante dalla circostanza secondo la quale, per un verso, la stessa Amministrazione gli ha restituito l’arma di servizio, dall’altra non avrebbe motivato in ordine alla sua incapacità di abusare delle armi, tanto più che i reati contestati non sarebbero a ciò riferibili.
Va premesso che, ai sensi dell’art. 73, comma 1, del Regio decreto 6.05.1940, n. 635, «gli ufficiali di pubblica sicurezza . . . sono autorizzati a portare senza licenza le armi di cui all'art. 42 della legge» (R.D. 18 giugno 1931, n. 773, con il quale è stato approvato il T.U.L.P.S.;mentre, ai sensi del comma 2, «gli agenti di pubblica sicurezza, contemplati dagli artt. 17 e 18 della legge 31 agosto 1907, n. 690, portano, senza licenza, le armi di cui sono muniti, a termini dei rispettivi regolamenti».
Deriva, dunque, una sostanziale differenza tra Ufficiali e agenti di P.S., secondo la quale solo ai primi è consentito l’uso delle armi senza alcuna diversa licenza, mentre ai secondi (ipotesi che occupa il Collegio) è consentito solo l’uso delle armi di servizio.
Discende che in questo secondo caso è necessario un titolo di polizia, il cui rilascio (e il cui mantenimento) non è legato in maniera indissolubile alla funzione svolta, ma richiede un ordinario giudizio di meritevolezza da parte dell’Autorità amministrativa a ciò preposta.
Inoltre, ai sensi dell’art. 77, comma 1, della Legge del 01/04/1981, n. 121, «l'appartenente alla Polizia di Stato che . . . porta in servizio armi diverse da quelle in dotazione è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire due milioni».
Da quanto sin qui osservato emerge che non vi è una automatica contraddittorietà tra atto di restituzione dell’arma di servizio, che rimane nella disponibilità dell’agente di P.S., così come nel caso di specie (di guisa che non può neanche ancorarsi, così come sostenuto, la sussistenza del periculum in mora all’adozione del provvedimento impugnato) e ritiro delle ulteriori armi “private”, il cui uso va autorizzato, per altro, per effetto di esigenze di autodifesa mediante armi più efficienti e/o più adatte allo scopo (ad esempio, di occultamento).
Ciò preliminarmente chiarito (cfr. T.A.R. Catania, I, 14.3.2022, n. 609;28/12/2020, n. 3584), questa Sezione ha sostenuto che «che nel nostro ordinamento non esistono posizioni di diritto soggettivo con riguardo alle situazioni di detenzione e porto d’armi, costituendo tali situazioni delle eccezioni al generale divieto di cui all'art. 699 c.p. e all'art. 4 comma 1, l. 18 aprile 1975 n. 110 (T.A.R. Umbria, Perugia , sez. I, 30/07/2019, n. 425;T.A.R. Basilicata, Potenza , sez. I , 28/06/2019, n. 514;T.A.R. Piemonte, Torino , sez. II , 08/04/2016, n. 434;T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. I , 27/10/2014, n. 993;Consiglio di Stato , sez. III , 14/09/2011 , n. 5132 ).
«Il porto d'armi, in particolare, non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, un’eccezione al generale divieto di detenere armi, e può divenire operante solo nei confronti di persone riguardo alle quali esiste perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle stesse (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 19/02/2019, n.338).
«Da tale assunto, secondo giurisprudenza consolidata, discende un’ampia discrezionalità dell’Amministrazione procedente nel valutare la sussistenza (o meno) dei requisiti di buona condotta e di affidamento nel non abuso delle armi che, ai sensi dell’art. 43 co. 2 T.U.L.P.S., può legittimare il diniego (o anche la revoca) della chiesta licenza di polizia.
«D'altronde, come affermato dalla giurisprudenza maggioritaria, fatta propria da questa Sezione, il potere di revoca o di diniego della licenza di porto di fucile non persegue finalità sanzionatorie, ma solo cautelari in quanto preordinate alla prevenzione di possibili abusi a tutela della privata e pubblica incolumità, ritenendosi, infatti, non necessario un obiettivo ed accertato abuso, quanto, invece, sufficiente la sussistenza di circostanze idonee a comprovare la non affidabilità dell’interessato nell’uso delle armi (cfr T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 1 giugno 2020, n. 1250 e, sempre sez. IV, 26 luglio 2018, n. 1597;in tal stesso la giurisprudenza prevalente: Consiglio di Stato, Sez. III, 13 aprile 2011 n. 2294;11 luglio 2014, n. 3547;24 agosto 2016 n. 3687;T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 13/10/2016, n. 4709, T.A.R. Umbria, Perugia, sez. I, 03/06/2016, n. 479, T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 04/04/2016, n. 361, T.A.R. Umbria, Perugia, sez. I, 27/11/2014, n. 583).
«È stato ribadito, al riguardo, che il giudizio di non affidabilità è possibile anche qualora non siano state pronunciate sentenze penali di condanna, essendo all’uopo sufficienti situazioni genericamente non ascrivibili a buona condotta (T.A.R. Lombardia, Brescia sez. II, 20/08/2019, n.753;T.A.R. Emilia Romagna, Parma, sez. I, 04/06/2019, n. 159;T.A.R. Piemonte, Torino, sez. II, 09/07/2019, n. 793).
«Pertanto, nel caso di specie, a nulla rileva che a carico del ricorrente non vi siano condanne, né che la normativa speciale richiamata in materia di sanzioni preveda la semplice sanzione amministrativa pecuniaria anziché la revoca, non essendo preclusa in alcun modo la valutazione discrezionale in ordine all’affidabilità dell’interessato, la cui ritenuta insussistenza ben può giustificare il sequestro preventivo impugnato (espressamente contemplato dall’art. 39 T.U.L.P.S.), quale possibile e legittima valutazione avanzata, volta al reiterarsi di un fatto oltre che illecito, anche pericoloso.
«Si tratta, in particolare, di un giudizio prognostico che può fondarsi anche sul mero sospetto o comunque su indizi ed elementi negativi, sia pure irrilevanti sotto il profilo penale, che attengono al complesso della condotta di vita del soggetto interessato, purché lo stesso giudizio sia supportato da un’adeguata istruttoria che confluisca in un’adeguata motivazione».
La detta decisione è stata confermata dal Giudice di seconde cure (cfr. CGA per la Sicilia, 19/07/2021, n. 717), che ha ribadito che, in quanto giudizio prognostico quello espresso sulla condotta necessaria per la detenzione armi, non è necessario che si fondi su una intervenuta condanna.
Tanto premesso, rammentato quanto ritenuto in ordine alla teorica non contraddizione tra il ritiro impugnato e la restituzione dell’arma di servizio, va precisato che, così come emerge da quanto rappresentato dall’amministrazione resistente, tale restituzione, avvenuta il 23.10.2019, è stata adottata «in ottemperanza al Decreto -OMISSIS-
In tale provvedimento, ricostruita la vicenda per la quale il ricorrente «è stato sospeso cautelarmente dal servizio . . . poiché sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari in esecuzione dell’ordinanza, emessa dal GIP del Tribunale -OMISSIS-. . . per i reati di cui agli artt. 81, 326 comma 3°, 328 e 378 c.p.» è stato considerato «il provvedimento con il quale il Tribunale -OMISSIS-, in riforma dell’ordinanza del GIP ha sostituito la misura cautelare degli arresti domiciliari con la misura interdittiva – per la durata di dodici mesi – della sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio o servizio di agente della Polizia di stato» e «che il 22 ottobre 2019 scadrà il periodo di dodici mesi, previsto per l’applicazione della misura interdittiva della sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio o servizio di agente della Polizia di stato».
Indi, si è concluso «che alla scadenza del periodo di efficacia della misura interdittiva, vengono meno i presupposti giuridici per la prosecuzione della sospensione cautelare dal servizio», addivenendo alla riammissione in servizio del ricorrente.
Ne deriva che la riammissione, e quindi la restituzione dell’arma, è avvenuta per decorrenza dei termini dell’interdizione, in costanza di procedimento penale relativo ai gravi reati ascritti, ancora sub iudice , circostanza, questa, che, anche in considerazione del ruolo istituzionale svolto dal ricorrente, appare elemento sufficiente per disporre, così come motivato nell’atto impugnato, a fini cautelativi, il divieto della «detenzione di altre armi fino alla definizione della vicenda penale».
Per altro, diversamente da quanto sembra emergere dal ricorso, non è il provvedimento avversato che determina un vulnus per l’immagine del ricorrente, ma, semmai, l’intervenuto trasferimento ad altra mansione (il cui uso dell’arma, seppur restituita, appare recessiva).
L’asserita contraddittorietà, inoltre, non emerge neanche dal provvedimento di compiacimento reso al ricorrente in data 26.7.2021, in quanto, per quanto dallo stesso emerge e per quanto sostenuto dall’Amministrazione resistente, lo stesso è relativo a fatti antecedenti le vicende giudiziarie che questi hanno interessato e poiché, come risulta dalla riservata amministrativa del 28.3.2022 della -OMISSIS-indirizzata alla Prefettura, dipendente da proposta premiale «non accolta dalla competente commissione ministeriale che rimette gli atti al Questore proponente il quale, per prassi, dispone nota di compiacimento, non trascrivibile nello stato matricolare».
Tanto appare sufficiente per ritenere la sussistenza di una adeguata e coerente motivazione del provvedimento impugnato, supportato da una sufficiente istruttoria.
Consegue il rigetto del ricorso.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio.