TAR Venezia, sez. I, sentenza 2020-01-23, n. 202000076

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. I, sentenza 2020-01-23, n. 202000076
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 202000076
Data del deposito : 23 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/01/2020

N. 00076/2020 REG.PROV.COLL.

N. 02598/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2598 del 2007, proposto da
P L, rappresentato e difeso dall'avvocato F M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M C in Venezia-Mestre, Via G. Pepe 6;

contro

Ministero dell'Interno e Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia, presso i cui uffici domiciliano in Venezia, San Marco, 63;

per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia esecutiva,

- della pretesa di ripetizione di indebito avanzata dalla Direzione Provinciale di Rovigo dei SS.VV. del Tesoro con provvedimento 25 luglio 2007 prot. 11571, compreso ogni atto conseguente e dipendente, ed in particolare la disposizione comunicata il 10 ottobre 2007, prot. 15691 dello stesso Ufficio, con il quale si applica a carico dello stipendio del ricorrente la ritenuta cautelativa sullo stipendio a fronte della pretesa di ripetizione di indebito suddetta;

- in via di subordine, della pretesa medesima per quanto asseritamente indebitamente percepito antecedentemente alla mensilità di luglio 1997 compreso;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 ottobre 2019 il dott. Pietro De Berardinis e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Espone il ricorrente di essere dipendente del Ministero dell’Interno, Dipartimento (oggi così denominato) dei Vigili del Fuoco, del soccorso pubblico e della Difesa Civile, già in servizio presso il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco dal 1991, e di essere transitato (a richiesta) in data 24 maggio 1993 dalla mansione di vigile permanente a quella di impiegato dell’area amministrativo – contabile del Corpo dei Vigili del Fuoco.

Rappresenta il ricorrente, inoltre, che il trattamento economico, per effetto anche di codesto riconosciuto transito, è stato rideterminato con D.M. ( ad personam ) del 22 novembre 1994 del Direttore della Divisione V della Direzione Generale della protezione civile e dei servizi antincendi presso il Ministero dell’Interno, munito del “visto” della Ragioneria Centrale presso il predetto Ministero, apposto in data 9 gennaio 1995 (oggetto di comunicazione con nota prot. 160852 del 7 febbraio 1995). Il prospetto allegato al decreto surriferito prevedeva quali componenti della retribuzione lo stipendio tabellare al livello V (non vi è questione in merito al livello di inquadramento), oltre ad un aumento di stipendio in forza di normativa nelle more venuta ad esistenza in funzione migliorativa, all’indennità pensionabile prevista lo stesso livello, e un’indennità non pensionabile prevista dal d.P.R. n. 335 del 1990.

Aggiunge il ricorrente che il trattamento economico, così determinato, è stato dunque erogato (con gli “aggiustamenti” in base alle sopravvenienze normative anche di adeguamento al costo della vita);
tuttavia, con provvedimento del 25 luglio 2007, prot. n. 11571, la Direzione Provinciale di Rovigo dei Servizi Vari presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha ingiunto allo stesso ricorrente il rimborso entro trenta giorni della somma di €. 20.086,64 “ per assegni riscossi e non dovuti per le motivazioni indicate in premessa ”.

Precisa il ricorrente che in calce alla nota de qua era scritto: “ Ai sensi dell'art. 3, comma 4, della legge 07/08/1990 n. 241, avverso il presente provvedimento è concessa facoltà di adire al Giudice Ordinario in funzione di Giudice del Lavoro, nei termini prescrizionali sanciti dal Codice Civile, attivando il procedimento relativo alle controversie in materia di lavoro previsto dal titolo VI, artt. 68 e ss., dal D.L.vo 03/02/1993 n. 29, così come rideterminato dal D.L.vo 31/03/1998 n. 80 e dall'art. 63 e ss. del D.L.vo 30/03/2001 n. 165 ”.

L’esponente rappresenta di aver promosso, tramite proprio legale, la procedura di conciliazione prevista dall’art. 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 per l’impugnativa dell’atto 25 luglio 2007 della Direzione Provinciale di Rovigo dei SS.VV. presso il Ministero dell’Economia;
tuttavia il Ministero dell’Interno eccepiva l’erronea attivazione della procedura in questione per essere il rapporto di impiego del personale del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco di diritto pubblico, “secondo autonome disposizioni ordinamentali”, da ciò facendone discendere la giurisdizione del giudice amministrativo.

Evidenzia il ricorrente che, all’adunanza fissata, il 19 novembre 2007, avanti la Direzione Provinciale del lavoro di Rovigo, il rappresentante del Ministero dell’Interno ribadiva tale posizione;
il tentativo di conciliazione era quindi, infruttuoso.

Nelle more, aggiunge l’esponente, con nota 10 ottobre 2007, prot. 15691, la Direzione Provinciale dei SS.VV. di Rovigo dipendente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze comunicava che, in esecuzione della nota 25 luglio 2007, n. 11571 portante recupero del credito erariale, a carico dello stipendio dello stesso esponente, e con effetto dalla mensilità di novembre 2007, si sarebbe proceduto alla ritenuta cautelativa di € 150,00 al mese.

Con ricorso spedito per la notifica in data 19 dicembre 2007 e depositato in data 28 dicembre 2007 l’esponente ha proposto le domande in epigrafe.

1.1. Con ordinanza 16 gennaio 2008, n. 21 veniva accolta la domanda cautelare “ avuto essenzialmente riguardo […] al sensibile pregiudizio economico arrecato al ricorrente dal provvedimento impugnato (recupero coattivo, ancorché rateizzabile, della somma di € 20.086,64.- anche riferito in parte a erogazioni stipendiali prescritte ”.

1.2. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, contrastando le domande avanzate dalla parte ricorrente.

1.3. Con ordinanza 10 novembre 2015, n. 1065 è stato disposto a carico dell’Amministrazione, al fine del decidere, il deposito di documentati chiarimenti sull’evoluzione della vicenda contenziosa, in particolare all’esito dell’ordinanza n. 21 del 2008 di accoglimento dell’istanza di sospensione.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanza ha dato riscontro all’incombente istruttorio in data 9 dicembre 2015.

1.4. All’udienza pubblica del 2 ottobre 2019, presenti i difensori delle parti, come da verbale, i quali si sono riportati alle conclusioni già prese chiedendone l’accoglimento, il Collegio si è riservato di provvedere e ha trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. La difesa erariale ha eccepito in via preliminare l’irricevibilità del ricorso, sostenendo l'insussistenza di presupposti per la richiesta di rimessione in termini avanzata dal ricorrente (nell’atto introduttivo del giudizio).

Argomenta la difesa erariale che il provvedimento di ingiunzione del 25 luglio 2007, data dalla quale decorre il termine di decadenza, riportando in calce l'avvertenza circa la " facoltà di adire il Giudice Ordinario in funzione del Giudice del Lavoro nei termini prescrizionali sanciti dal Codice Civile, attivando il procedimento relativo alle controversie in materia di lavoro previsto dal titolo VI, artt. 68 e ss., dal dal D.L.vo 03.02.1993 n. 29 " può aver ingenerato un errore nell'individuazione della Autorità giurisdizionale da adire: tuttavia, "ignorantia legis non excusat" e, soprattutto, è onere della parte, assistita dal proprio legale, attivarsi per radicare la controversia innanzi al giudice munito di giurisdizione.

Inoltre, aggiunge la difesa erariale, anche a voler ammettere che l'errore in cui è incorso il ricorrente fosse da ricondurre alla nota de qua , il termine di esperibilità del ricorso non dovrebbe comunque decorrere, come asserisce lo stesso ricorrente, dal 19 novembre 2007 (data di conclusione del tentativo, non riuscito, di conciliazione avanti la Direzione Provinciale del Lavoro di Rovigo) bensì dal 13 settembre 2007, data del provvedimento del Ministero dell'Interno/Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile relativo al tentativo obbligatorio di conciliazione (ove risulta indicato espressamente la sussistenza nella fattispecie della giurisdizione del giudice amministrativo ex art. 1 della legge 30 settembre 2004, n. 252).

Orbene, alla data di notifica del ricorso erano decorsi più di tre mesi dalla nota del 13 settembre 2007.

Il ricorrente, che già nell’atto introduttivo del giudizio ha avanzato richiesta di rimessione in termini, facendo leva sull’errore scusabile indotto dalla stessa Amministrazione con l’indicazione dell’Autorità da adire, nella memoria depositata in data 29 luglio 2019, ha ribadito la tesi della scusabilità dell’errore ulteriormente argomentando in ordine alla tempestività della proposizione del gravame, assumendo quale termine iniziale quello della effettiva conclusione dell’esperimento del tentativo di conciliazione.

1.1. L’eccezione è infondata.

Va innanzitutto premessa la sussistenza della giurisdizione esclusiva ex artt. 3 e 63, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e art. 133, comma 1, lett. i), cod. proc. amm. in ordine alla controversia in esame, appartenendo il ricorrente al Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, il cui rapporto di impiego è assoggettato al regime pubblicistico ai sensi dell’art. 3, comma 1- bis , del medesimo decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (sul punto giova infatti ricordare che il rapporto di impiego del personale appartenente al Corpo dei Vigili del Fuoco è stato oggetto di c.d. «ripubblicizzazione», essendo stato posto, in forza della legge 30 settembre 2004, n. 252, nel comparto pubblicistico: cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 4 giugno 2019, n. 3018).

Ciò premesso, occorre osservare che nell’ambito del contenzioso c.d. sul pubblico impiego si deve distinguere tra controversie relative ad atti autoritativi , attinenti alla costituzione, modificazione o estinzione del rapporto d'ufficio, e controversie relative ad atti o comportamenti paritetici , attinenti all'adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di servizio;
le prime, in quanto concernenti interessi legittimi, seguono le regole processuali dettate per la giurisdizione generale di legittimità (quali, exempli gratia , quelle che subordinano l'ammissibilità del ricorso all'impugnazione di una determinazione amministrativa, immediatamente e direttamente lesiva, contenuta in un formale provvedimento);
le seconde, invece, in quanto concernenti diritti soggettivi (od altre situazioni soggettive ad essi riconducibili) sono state da tempo sganciate dalle regole suddette, ed in particolare da quelle che subordinano il ricorso all'impugnativa di una specifica determinazione amministrativa, e ciò in quanto il comportamento amministrativo che concreta la lesione rileva non come atto bensì come semplice fatto, e cioè come inadempimento di una obbligazione preesistente, ed è quindi espressione di una condotta che non rientra nell'area del diritto pubblico, riservata all'amministrazione, ma nell'area del diritto comune, in cui quest'ultima può operare alla pari di qualsiasi operatore privato, ed in cui qualsiasi comportamento concludente può esser valutato dal giudice senza alcuna preclusione (cfr. T.A.R. Veneto, sez. I, 20 marzo 2019, nn. 350 e 351).

Va ora nello specifico osservato che la giurisprudenza è granitica nel ritenere che il recupero di emolumenti indebitamente corrisposti a pubblici dipendenti costituisce per la P.A. l'esercizio di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale , ex art. 2033 cod. civ., avente carattere di doverosità e privo di valenza provvedimentale (cfr. Cons. Stato, sez. I, 12 luglio 2019, n. 2030;
Cons. Stato, sez. I, 30 aprile 2019, n. 1330;
Cons. Stato, sez. II, 6 agosto 2018, n. 2032;
Cons. Stato, sez. III, 25 gennaio 2018, n. 527;
T.A.R. Lazio, Roma, sez. III ter, 23 luglio 2019, n. 9855).

Come nitidamente evidenziato da condiviso orientamento interpretativo, il recupero è atto dovuto non rinunziabile, espressione di una funzione pubblica vincolata: in capo all'Amministrazione va riconosciuta, perciò, una posizione soggettiva che deve essere qualificata come diritto soggettivo alla restituzione , alla quale si contrappone, avendo gli atti che si riferiscono ad un credito derivante da un rapporto di impiego natura paritetica e non autoritativa , una correlativa obbligazione del dipendente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 gennaio 2016, n. 267;
T.A.R. Lazio, Roma, sez. III quater, 2 luglio 2019, n. 8573;
T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 12 gennaio 2015, n. 149).

Ne consegue che l’azione è proponibile nel termine prescrizionale, avendo gli atti coinvolti natura di atti paritetici che, come tali, non richiedono impugnazione nel termine decadenziale (arg. ex T.A.R. Toscana, sez. I, 14 febbraio 2011, n. 309).

In conclusione, il destinatario dell’atto di recupero, nell'ambito del rapporto obbligatorio di reciproco dare/avere ( paritetico ), può sempre far valere le sue eccezioni nell'ordinario termine di prescrizione (cfr. Cons. Stato, sez. III, 4 settembre 2013, n. 4429).

2. Possono essere esaminati congiuntamente i primi due motivi di gravame: con il primo il ricorrente deduce il vizio di Eccesso di potere per omessa valutazione del comportamento del percipiente, improntato a buona fede , mentre con il secondo deduce il vizio di Eccesso di potere per omessa valutazione delle condizioni economiche e reddituali del dipendente, anche con riferimento all’obbligo di garanzia di un trattamento economico dignitoso ex art. 36 Cost. ,

In sintesi, con il primo motivo il ricorrente, dopo aver richiamato la giurisprudenza sulla necessità da parte dell’Amministrazione che intende recuperare la somma indebitamente erogata di valutare la buona fede del percipiente ed il suo affidamento, argomenta di non aver percepito nulla di più di quanto riconosciutogli con il decreto del Ministero dell’Interno del 22 novembre 1994 (di transito ai servizi sedentari), vistato dalla Ragioneria Centrale del predetto Ministero, salvi gli aumenti migliorativi medio tempore intervenuti;
cosicché, osserva lo stesso esponente, egli avrebbe fatto pieno affidamento su detto decreto di riconoscimento del trattamento economico, oltre a non concorrere in alcun modo (con pretese non giustificate, dichiarazioni non veritiere, con artefazione di lagnanze) all’erogazione di un trattamento economico anche solo in parte indebito.

Per il ricorrente, il rilievo della illegittimità del provvedimento pretensivo è quindi tutto e solo incentrato sulla “buona fede” dell’impiegato.

Con il secondo motivo di ricorso, in sintesi, l’esponente lamenta che la P.A. non avrebbe considerato le condizioni economiche e reddituali ed il ruolo familiare dell’ingiunto, sicché la ripetizione delle somme, pur se tramite la trattenuta “cautelativa” sullo stipendio mensile, renderebbe il residuo reddito familiare (prodotto dal ricorrente e dalla moglie dello stesso) non idoneo ad assicurare all’ingiunto e al suo nucleo familiare quell’“esistenza libera e dignitosa” voluta dall’art. 36 Cost..

Il ricorrente ha ulteriormente approfondito le doglianze nella memoria depositata in data 29 luglio 2019.

2.1. I motivi sono infondati.

Va in primo luogo evidenziato che il ricorrente non ha contestato le motivazioni con cui la difesa erariale (cfr. pag. 2 del controricorso) ha illustrato le ragioni del riscontrato indebito a favore dello stesso esponente: l’indebito trae origine dalla circostanza che, mentre nel corso degli anni l’indennità di rischio (non più dovuta al ricorrente per effetto del transito da vigile permanente a impiegato dell’area amministrativo – contabile del Corpo dei Vigili del Fuoco, e tuttavia percepita) è aumentata, raggiungendo nel 2006 l’importo annuo di €. 4.527,84, la misura della retribuzione individuale di anzianità (spettante al ricorrente in compensazione, e tuttavia non percepita) è invece rimasta invariata nell’importo annuo lordo di €. 2.231,09.

Va altresì evidenziato che il primo motivo di gravame è sintetizzabile nella seguente argomentazione: “ Il rilievo della illegittimità del provvedimento pretensivo è quindi tutto e solo incentrato sulla “buona fede” dell’impiegato ” (cfr. pag. 11 del ricorso).

Ciò premesso, quanto alla buona fede del percipiente, l’orientamento giurisprudenziale prevalente – pienamente condiviso dal Collegio e al quale si intende dare continuità – pone in risalto il fatto che in caso di indebita erogazione di denaro pubblico l’affidamento del percettore delle somme e la stessa buona fede non sono di ostacolo all’esercizio, da parte dell’Amministrazione, del potere-dovere di recupero, in linea con il canone costituzionale di buon andamento, né l’Amministrazione è tenuta a fornire un’ulteriore motivazione sull’elemento soggettivo riconducibile all’interessato od all’interesse pubblico al recupero che è rinvenibile in re ipsa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 aprile 2019, n. 2494;
T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 12 luglio 2019, n. 1857).

Ed invero, l' affidamento e lo stato soggettivo di buona fede del pubblico dipendente nel percepire dall'Amministrazione di appartenenza somme a lui non dovute, nonché l'avvenuta destinazione delle somme alla soddisfazione delle esigenze della vita e gli effetti della ripetizione su tali esigenze, non costituiscono ostacolo al recupero dell'indebito, attesa la doverosità e necessarietà del comportamento dell'Amministrazione nel riavere quanto erogato ma non dovuto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 gennaio 2016, n. 267;
Cons. Stato, sez. III, 4 settembre 2013, n. 4429).

In altri termini, lo stato psicologico del debitore, in ipotesi in buona fede, di per sé non preclude l'attività di recupero dell'indebito e l'interesse del dipendente a trattenere gli emolumenti percepiti non può prevalere su quello pubblico alla ripetizione delle somme erogate indebitamente, che è di per sé sempre attuale e concreto (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. III quater, 2 luglio 2019, n. 8571;
T.A.R. Piemonte, sez. I, 4 aprile 2018, n. 406).

Si tratta, peraltro, di orientamento giurisprudenziale risalente: cfr. “[...] la buona fede del percipiente non può rappresentare di per sé un ostacolo all'esercizio, da parte dell'Amministrazione, del diritto di ripetere le relative somme […]” (Cons. Stato, sez. VI, 3 dicembre 2003, n. 7953;
Cons. Stato, sez. VI, 7 luglio 2003, n. 4012;
di tenore analogo Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 2008, n. 290;
Cons. Stato, sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2789;
Cons. Stato, sez. IV, 24 maggio 2007, n. 2651).

Ed inoltre, a prescindere dal tempo trascorso, l’oggetto del recupero produce di per sé un danno all’Amministrazione, consistente nell'esborso di denaro pubblico senza titolo ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 5 aprile 2018, n. 2115).

E’ ben vero che l'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88 limita il recupero delle somme indebitamente corrisposte all'ipotesi del dolo del percipiente : tuttavia, si tratta di disposizione dettata in materia di previdenza sociale e, come norma eccezionale, non può applicarsi in materia di pubblico impiego (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 8 settembre 2017, n. 948;
T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 14 febbraio 2011, n. 924).

Quanto al secondo motivo di ricorso, il sopra richiamato orientamento giurisprudenziale se, si ribadisce, esclude che la buona fede del percipiente possa di per sé precludere l'attività di recupero dell'indebito, tuttavia impone all’Amministrazione di adottare – proprio in presenza di situazioni di affidamento e di buona fede del percipiens - delle modalità di effettuazione del recupero tali da non incidere in maniera eccessivamente onerosa sulle esigenze di vita del dipendente (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. III quater, 2 luglio 2019, n. 8573;
T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 21 febbraio 2019, n. 308).

Orbene, proprio alla luce di quanto appena detto, il secondo motivo di ricorso si rivela infondato, avendo l’Amministrazione predisposto una modalità di recupero - trattenuta mensile sullo stipendio in godimento (ritenuta cautelativa di Euro 150,00) - che non può considerarsi eccessivamente gravosa.

3. Con l’ultimo motivo di gravame il ricorrente ha dedotto il vizio di Violazione di legge per violazione dell’art. 2946 c.c. e di ogni altra norma, anche speciale, di prescrizione della ripetibilità delle somme corrisposte in antecedenza all’agosto 1997 .

L’esponente ha evidenziato che dal prospetto allegato all’atto della Direzione Provinciale di Rovigo dei SS.VV. del Tesoro, del 25 luglio 2007, il periodo interessato dalla pretesa ripetitoria risale al 1993.

In via di subordine, dunque, il ricorrente ha eccepito l’invalidità parziale dell’atto sotto il profilo di violazione di legge, laddove non considera come prescritte le pretese restitutorie per l’asserito indebito corrisposto oltre il decennio trascorso;
in particolare, ha aggiunto l’esponente, la pretesa restitutoria per quanto corrisposto antecedentemente alla mensilità di luglio 1997 è illegittima.

Il ricorrente ha ribadito la tesi esposta nella memoria depositata in data 29 luglio 2019.

3.1. Il motivo è fondato.

E’ consolidato in giurisprudenza il principio per cui il diritto alla repetitio indebiti da parte della P.A., a norma dell’art. 2946 cod. civ., è soggetto a prescrizione ordinaria decennale il cui termine decorre dal giorno in cui le somme sono state materialmente erogate (cfr. Cons. Stato, sez. II, 31 dicembre 2018, n. 3010;
Cons. Stato, sez. IV, 3 gennaio 2018, n. 27;
T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 19 ottobre 2018, n. 1980).

L’avversata nota con la quale si ingiunge all’esponente la restituzione della somma sopra indicata reca la data del 25 luglio 2007 e gli è stata notificata successivamente;
il transito del ricorrente nel ruolo di supporto amministrativo contabile (e, quindi, la perdita da parte dello stesso del diritto a percepire l’indennità di rischio) risale al 24 maggio 1993 (come si legge nel D.M. 15 aprile 1994 e nel successivo D.M. 22 novembre 1994).

Ne discende che è fondata la domanda del ricorrente volta ad ottenere la declaratoria di prescrizione delle pretese restitutorie dell’Amministrazione relative alle mensilità anteriori all’agosto 1997, cioè la prescrizione dei crediti attinenti alle somme indebitamente percepite a seguito del transito nel ruolo di supporto amministrativo contabile (24 maggio 1993) e fino alla mensilità di luglio 1997 (compresa).

4. In parziale accoglimento del gravame, va pertanto disposto l’annullamento in parte qua delle note impugnate, ai fini del ricalcolo della minore somma dovuta dal ricorrente che tenga conto della parziale prescrizione dei crediti, entro i limiti temporali suindicati.

5. In ragione della parziale fondatezza del ricorso sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese tra le parti.

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