Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2023-04-21, n. 202304050
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Pubblicato il 21/04/2023
N. 04050/2023REG.PROV.COLL.
N. 06367/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6367 del 2020, proposto da:
Bad 3 S.r.l., R S.r.l., Ipm Coetus S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati D L, F S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio D L in Roma, via Vittoria Colonna n. 40;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato S S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove 21;
Asl Roma 1, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Alessia Alesii, Gloria Di Gregorio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II, n. 7706/2020, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e di Asl Roma 1;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2022 il Cons. Diana Caminiti e uditi per le parti gli avvocati Polinari, in delega dell'Avv. Lipani, Siracusa e Di Gregorio;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.Con atto notificato in data 3 agosto 2020 e depositato in pari data Bad 3 S.r.l., R S.r.l. e Ipm Coetus S.r.l. hanno interposto appello avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II, n. 7706/2020 con cui:
-è stato considerato inammissibile e comunque infondato nel merito il ricorso introduttivo proposto avverso la Determinazione Dirigenziale di Roma Capitale, Municipio Roma I, prot. CA/12335/2018 del 22 gennaio 2018, avente ad oggetto “ Ordine di Cessazione attività di cottura in esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande a carico della BAD 3 SRL - Locale sito in Piazza di Pasquino n. 1 ang. Via del Governo Vecchio n. 81 ”, con cui è stata ordinata “ la cessazione dell'attività di cottura in esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande nei locali siti in Piazza di Pasquino n. 1, ang. Via del Governo Vecchio n. 81, entro quindici (15) giorni dalla data di notifica del presente atto ” ed i relativi atti presupposti;
- è stato dichiarato inammissibile, quanto alla posizione della Bad 3 s.r.l., ed improcedibile nei confronti della R s.r.l. ed, in ogni caso, infondato nel merito il primo ricorso per motivi aggiunti, proposto avverso la nota di Roma Capitale, Municipio Roma I, prot. n. CA/2018/53154, avente ad oggetto “ comunicazione di inefficacia della SCIA prot. n. Ca/2018/31219 del 17/02/2018 presentata da RODSTER S.R.L. ”;
- è stato in parte accolto ed in parte rigettato il secondo ricorso per motivi aggiunti proposto avverso la nota di Roma Capitale prot. n. CA/2018/84450, avente ad oggetto “ Comunicazione di inefficacia della SCIA prot. n. CA/2018/57241 del 27/03/2018 ” e, per l’effetto, è stata annullata detta nota comunale nella (sola) parte in cui estendeva la propria portata interdittiva ad attività di somministrazione non collegata a processi di cottura;
- è stata rigettata la domanda risarcitoria azionata.
2. Dagli atti di causa risulta quanto di seguito specificato.
2.1. Con contratto d’affitto d’azienda rogato in data 23 novembre 2016 per atto Notar P, la Geri 2003 S.r.l. (di seguito anche solo “Geri”) ha concesso in affitto alla Società Bad 3 S.r.l. (di seguito anche solo “Bad 3”) l’attività di somministrazione di alimenti e bevande corrente in Roma, alla Piazza Pasquino n. 1, sotto l’insegna “Ristorante-Pizzeria Pasquino” (di seguito anche solo “Attività”).
Prima ancora che la Geri la concedesse alla Bad 3, l’Attività era stata concessa in affitto d’azienda, dalla stessa GERI, alla Gia.Ro. 2012 S.r.l. (di seguito anche solo “Giaro”).
L’attività in questione era ed è svolta in un immobile che non dispone di canna fumaria, né presenta la possibilità di installarla. Pertanto i fumi prodotti dall’attività di cottura vengono convogliati in un apposito impianto a carboni attivi che, dopo averli depurati, li espelle all’esterno.
2.2. In data 15 settembre 2016, quando ancora l’attività era gestita dalla Giaro, la Polizia di Roma Capitale notificava alla stessa il Verbale di accertamento n. 81150030000, con il quale veniva contestata “ la violazione amministrativa di cui all’art. 64, regolamento d’igiene del Comune di Roma, in relazione alla norma 10683/12 perché, quale legale rappresentante della suindicata Società autorizzata all’esercizio di ristorante disponeva di una cucina in esercizio allestita con macchina di cottura alimentata a gas ed altre apparecchiature di cottura, forno elettrico, bollitore, privo di canna fumaria ”, con irrogazione di sanzione in misura ridotta, pari ad euro cento, provvedimento questo impugnato con ricorso mero gerarchico.
2.3. Successivamente, con nota prot. 5311 del 12 gennaio 2017, notificata in data 6 febbraio 2017, Roma Capitale, Municipio Roma I, Unità Organizzativa Amministrativa Sportello Unico per le Attività Produttive comunicava alla Giaro l’avvio del procedimento di cessazione dell’attività di somministrazione, limitatamente all’attività di cucina con cottura dei cibi.
In particolare l’Ufficio rappresentava che la ASL Roma A, con nota prot. 19880 del 9 marzo 2015 aveva evidenziato che “ la normativa vigente, art. 64 del regolamento di igiene del Comune di Roma [adottato con Delibera di Consiglio Comunale n. 7395/1932 (di seguito anche solo “Regolamento”)] e la NORMA UNI EN 13779/08, prevedono ancora l’obbligo di captazione delle esalazioni e dei fumi provenienti dalla cottura degli alimenti attraverso cappa aspirante convogliata in una canna fumaria, esterna e prolungata oltre la sommità del tetto di copertura dello stabile ove insiste l’attività ”.
2.4. Detto procedimento, cui partecipava la Bad 3, nel frattempo subentrata nella gestione dell’attività, producendo articolata memoria difensiva, non veniva portato a compimento in quanto Roma Capitale avviava un nuovo procedimento, notificando alla Bad 3, in data 10 agosto 2017 la nota prot. CA137594 del 4 agosto 2017, con la quale comunicava “ l’avvio del procedimento di cessazione dell’attività di somministrazione, limitatamente all’attività di cottura dei cibi ”, alla luce del rapporto amministrativo prot. VA/88494/17 del 7 giugno 2017, con cui il Comando Generale di Polizia di Roma Capitale accertava che la Bad 3 avrebbe effettuato “ processi di cottura ” senza che il locale nel quale era svolta l’attività fosse dotato di canna fumaria, rinviando per il resto alla citata nota ASL Roma A prot. 19880 del 9 marzo 2015.
2.4.1. La Bad 3 partecipava anche a questo procedimento, inviando articolata memoria di controdeduzioni e nelle more, con atto rogato in data 4 ottobre 2017, acquistava la totalità delle quote della Geri.
2.4.2. Roma Capitale Municipio Roma I adottava quindi la Determinazione Dirigenziale prot. CA/12335/2018 del 22 gennaio 2018, avente ad oggetto “ Ordine di Cessazione attività di cottura in esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande ” oggetto del ricorso introduttivo in prime cure , motivato per relationem , richiamando il contenuto della citata nota prot. 19880 del 9 marzo 2015 dell’Azienda U.S.L. Roma A.
2.4.3. Successivamente, con contratto di subaffitto di azienda rogato per atto Notar P in data 31 gennaio 2018, la Bad 3 subaffittava l’azienda alla società R S.r.l., la quale presentava agli Uffici di Roma Capitale la SCIA di subingresso, quale attuale esercente dell’attività.
2.4.4. Pertanto sia Bad 3, destinataria del provvedimento di cessazione dell’attività di cottura, che R, subaffittuaria presentavano ricorso al T capitolino avverso l’indicata Determinazione Dirigenziale prot. CA/12335/2018.
2.5. Successivamente alla presentazione di detto ricorso introduttivo, Roma Capitale notificava nota prot. CA/2018/53154, diretta alla subaffittuaria R, con cui inibiva lo svolgimento dell’attività dichiarata nel locale indicato nella segnalazione di inizio attività di ristorante-pizzeria, per le medesime ragioni già evidenziate nel provvedimento adottato in precedenza a carico della Bad 3 ed oggetto del ricorso introduttivo di prime cure .
2.5.1. Anche tale secondo provvedimento veniva quindi impugnato innanzi al T capitolino, tanto da Bad 3 che da R con un (primo) ricorso per motivi aggiunti.
2.6. Peraltro, nelle more della notifica del ricorso per motivi aggiunti, R presentava, per mero errore, secondo quanto dalla stessa dedotto, ulteriore S.C.I.A. in subingresso, di identico tenore a quella già presentata.
2.6.1. In riscontro ad essa Roma Capitale adottava pertanto a carico di R la nota prot. CA/2018/84450, con la quale ne comunicava l’inefficacia, ribadendo in maniera pedissequa i contenuti della nota CA/2018/53154 del 21 marzo 2018, peraltro inibendo non soltanto l’attività di cottura, ma anche l’attività di somministrazione tout court ;pertanto le ricorrenti in prime cure richiedevano rinvio dell’udienza fissata per la trattazione dell’incidente cautelare per impugnare anche detta nota con (ulteriore) ricorso per motivi aggiunti, invitando peraltro il G.A, adito ad adottare un provvedimento cautelare volto a delimitare l’ambito delle dichiarazioni di inefficacia delle SCIA presentate da R alla sola attività di cottura.
Pertanto il T per il Lazio, con l’Ordinanza n. 3244/2018 del 31 maggio 2018, rinviava la discussione dell’istanza cautelare a data da destinarsi, precisando che “ la nota municipale del 21.3.2018 prot. n. CA/2018/53514, notificata via pec in pari data, già gravata con i primi motivi aggiunti, avente ad oggetto “comunicazione di inefficacia della SCIA prot. n. Ca/2018/31219 del 17/02/2018 presentata da RODSTER S.R.L.”, deve ritenersi interdittiva della sola attività di cottura dei cibi nell’ambito dell’attività di esercizio di somministrazione di cibi e bevande già sanzionata con la determinazione gravata in via principale ”.
2.6.2. Con secondo ricorso per motivi aggiunti, le ricorrenti impugnavano anche la nota prot. CA/2018/84450 del 8 maggio 2018, chiedendone la sospensione.
2.7. Le ricorrenti in prime cure peraltro rinunciavano alle istanze cautelare avanzate con i ricorsi per motivi aggiunti, ritenendo che nelle more del giudizio il loro interesse all’esercizio dell’attività di somministrazione di cibi e bevande con attività di cottura – avendo nel frattempo R presentato in via cautelativa ulteriore SCIA per lo svolgimento di attività di gastronomia fredda, non oggetto di alcuna interdizione - fosse tutelato con la richiesta cautelare presentata a corredo del ricorso introduttivo.
2.7.1. Detta istanza cautelare veniva peraltro rigettata dal T con ordinanza 3 agosto 2018, n. 4834/2018.
2.7.2. Le ricorrenti presentavano pertanto appello cautelare avverso tale ordinanza a questo Consiglio di Stato, che con ordinanza della Sezione, 30/10/2018 n. 05293, accoglieva l’istanza cautelare “ stante la non manifesta infondatezza del fumus e la ricorrenza obiettiva del periculum ”, disponendo come in analoghe controversie, l’espletamento di una verificazione tecnica per chiarire se l’impianto tecnologico di smaltimento dei fumi adottato dalla società appellante fosse idoneo, alla stregua della normativa, multilevel vigente, a garantire la conservazione dei livelli di qualità dell’aria della città, in alternativa alla via di fumo tradizionale, e cioè mediante canna fumaria, affidando l’incombente istruttorio all’ISPRA-Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.
2.7.3. Avuto riguardo all’intervenuto accoglimento dell’istanza cautelare, in data 5 novembre 2018, R presentava apposita SCIA funzionale all’espletamento dell’attività di cottura, precisando “ che la suddetta SCIA va in sostituzione della precedente SCIA per Subingresso attività di Somministrazione, Protocollo CA/2018/57241 del 27/03/2018, resa Inefficace dal Comune di Roma in data 08/05/2018 con protocollo CA/2018/84450 e della Successiva SCIA per Subingresso attività di Somministrazione Gastronomia Fredda protocollo CA/2018/139361 del 20/07/2018 (a tutt’oggi in essere), in virtù dell’Ordinanza del Consiglio di Stato sul ricorso numero di registro generale 7844 del 2018, proposto da: Bad 3 S.r.l., e R S.r.l., di cui si allega Copia ”.
2.8.L’ISPRA con la relazione di verificazione, demandata in sede di appello cautelare da questa Sezione, depositata in data 15 gennaio 2019, riteneva che “ L'impianto filtrante deve essere quindi migliorato attraverso l’attuazione di quanto precedentemente richiesto per il mantenimento di una prestazione di abbattimento dei COV che consenta una efficienza di filtrazione globale intorno al 90%.Tuttavia, rispetto all'invio alla canna fumaria `tal quale' dei fumi di cottura, i dispositivi attualmente installati consentono pur sempre un abbattimento efficiente, ancorché con un tempo di contatto limitato a 0,125 secondi in condizioni di massima portata.
Di fatto i dispositivi installati risultano validi come alternativa all'invio in canna fumaria, per la minor quantità di inquinanti immessi nell'aria dell'ambiente urbano e quindi con minori impatti sulla qualità dell'aria della città , concludendo infine nel senso che “ Da quanto sopra esposto, si evince la necessità che il filtro debba avere una efficienza almeno del 90 % sia sulle sostanze particolate (filtro e prefiltro), sia sulle sostanze organiche prodotte durante la cottura, ciò in quanto detta efficienza è oggigiorno realizzabile senza eccessivi oneri.
Per mantenere efficienti nel tempo i parametri minimi richiesti è categoricamente necessaria una costante e rigida manutenzione del sistema filtrante sia per le sostanze particolate, sia soprattutto per lo stadio filtrante a carboni attivi.
Per avere la garanzia dell’efficienza prescritta sul carbone attivo, si devono riscontrare almeno due condizioni essenziali:
1) una temperatura dei fumi al di sotto dei 40 °C sul letto di carbone attivo
2) un tempo di attraversamento dei fumi di cottura sul letto di carbone attivo di almeno di 1 secondo.
La prima condizione viene rispettata in quanto, è vero che i fumi di cottura hanno una temperatura elevata, ma la grande capacità di portata della cappa aspirante pari a circa 8.000 Nmc/h, serve a garantire i necessari ricambi orari richiesti per mantenere un giusto microclima per gli operatori addetti alla cottura dei cibi presenti in cucina, ma abbassa la temperatura dei fumi aspirati nettamente sotto i 40 °C richiesti.
Relativamente alla seconda condizione richiesta, si rileva che l'impianto di filtrazione a carboni attivi presente nell'attività esercita dal ricorrente, pur avendo una discreta efficienza, garantisce la permanenza dell'inquinante per solo 0,125 secondi sul letto di carbone attivo al massimo della portata disponibile.
La sezione di attraversamento deve pertanto essere aumentata per rallentare la velocità di attraversamento fino ad avere un tempo di contatto di almeno 1 secondo.
In parole semplici, il flusso d'aria aspirato dalla cappa, circolando forzosamente nel condotto, passa troppo velocemente sul letto filtrante di carbone attivo senza poter, quindi, raggiungere l'efficienza richiesta stimata dagli scriventi intorno 90 %. Il sistema di filtrazione può quindi essere migliorato in modo da poter garantire un "tempo di contatto" di almeno un secondo e quindi un'efficienza del 90% con:
1. Progettazione corretta rispettando i parametri più volte richiesti nel presente parere
2. Manutenzione: relativamente al buon funzionamento del sistema filtrante, si precisano i
requisiti minimi da garantire:
a) Registro dei consumi giornalieri e delle ore di esercizio;
b) Sistema di assoggettamento dello smaltimento dei filtri a carbone attivo come Rifiuti speciali pericolosi come richiesto dalla normativa;
c) Tenuta dei Formulari di Identificazione del rifiuto correttamente smaltito (FIR);
3. Controlli — occorre prescrivere gli accertamenti sull'efficienza del sistema filtrante che
dovranno essere eseguiti da un'ente terzo (in analogia al Bollino Blu delle caldaie termiche o sistema equivalente).
Tutto quanto sopra, fatte salve le verifiche sanitarie ed amministrative”.
2.9. Nelle more della decisione del ricorso di primo grado, Roma Capitale, con Deliberazione dell’Assemblea Capitolina, n. 12 del 5 marzo 2019 modificava il Regolamento di Igiene, aggiungendo – dopo il più volte richiamato art. 64 – l’art. 64-bis, con il quale ha per la prima volta vengono determinate le condizioni per l’utilizzo, da parte delle attività di somministrazione, di strumenti alternativi alla tradizionale via di fumo attraverso canna fumaria, che al comma 5 prevede “ in occasione della prima manutenzione straordinaria dell’impianto e comunque entro due anni dall’entrata in vigore del presente articolo, le attività che già usufruiscono di sistemi alternativi ai condotti di espulsione, devono conformarsi alla presente disciplina ”.
3. Con la sentenza oggetto del presente gravame, il T pur scrutinando nel merito tutte le censure, in quanto oggetto comunque anche del secondo ricorso per motivi aggiunti, riteneva il ricorso introduttivo inammissibile per la “ carenza di legittimazione ad agire di entrambe le parti proponenti il ricorso introduttivo ”, il primo ricorso per motivi aggiunti inammissibile quanto a Bad 3 ed improcedibile quanto a R, in quanto proposto avverso un provvedimento (la nota di comunicazione di inefficacia della SCIA del 21 marzo 2018) superato dalla nota di analogo contenuto notificata da Roma Capitale in data 8 maggio 2018, oggetto del secondo ricorso per motivi aggiunti, mentre accoglieva il secondo ricorso per motivi aggiunti limitatamente alla sola parte dell’indicata nota di Roma Capitale, prot. n. CA/2018/84450, avente ad oggetto “ Comunicazione di inefficacia della SCIA prot. n. CA/2018/57241 del 27/03/2018 ” che aveva esteso la propria portata interdittiva ad attività di somministrazione non collegata a processi di cottura.
4. In particolare il T con la sentenza appellata, nel rigettare le censure proposte avverso il provvedimento di inibizione dell’attività di cottura, ha richiamato il proprio orientamento tradizionale, in ragione del quale, in base alla normativa applicabile, l’utilizzo di strumenti alternativi alle vie di fumo tradizionali dovrebbe essere oggetto di preventiva autorizzazione amministrativa, dando peraltro atto del diverso indirizzo del Consiglio di Stato.
Quanto alla verificazione disposta da questa Sezione in sede di appello cautelare, il TAR ne ha contestato sia l’impostazione del quesito (che avrebbe concentrato l’oggetto dell’indagine su aspetti ambientali, trascurando quelli relativi al diritto alla salute), sia il soggetto incaricato di svolgere la verificazione (l’Ispra), in quanto privo di competenze, rappresentando comunque che, nel caso di specie, la verificazione avrebbe dato un esito non completamente favorevole all’esercente (per l’inadeguatezza di uno dei parametri dell’impianto alternativo, concernente il tempo di attraversamento dei fumi di cottura sul letto di carbone attivo). Ha commentato inoltre l’entrata in vigore della deliberazione n. 12 del 5 marzo 2019, contenente una nuova disposizione del Regolamento comunale d’igiene (art. 64 bis), interpretandone il testo conformemente alla posizione assunta reiteratamente dallo stesso T (secondo cui gli impianti alternativi alla canna fumaria devono essere preventivamente autorizzati e quindi anche la norma transitoria che ne consente un adeguamento alla nuova disciplina si riferirebbe soltanto agli impianti già autorizzati, quale non sarebbe quello di specie). Ha inoltre ritenuto che la presentazione da parte di Rodester di apposita SCIA funzionale all’espletamento dell’attività di cottura in esito all’adozione dell’Ordinanza cautelare del Consiglio di Stato, sebbene non oggetto di apposita inibitoria, non determinasse la cessazione della materia del contendere.
Ha infine rigettato la domanda risarcitoria.
5. Con il presente appello, presentato oltre che dalle originarie ricorrenti in prime cure , anche da Ipm Coetus S.r.l. , divenuta in data 11 dicembre 2018 cessionaria dell’attività pur avendo in pari data provveduto ad affittare l’azienda a R, le parti articolano avverso la sentenza di prime cure, in quattro motivi le seguenti censure:
I. Ingiustizia della sentenza per violazione, falsa applicazione degli art. 100 e 111 cod. proc. civ.;violazione, falsa applicazione, degli artt. 2555 e ss. cod. civ.;violazione, falsa applicazione dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm;violazione degli artt. 24 e 111 cost.;perplessità e contraddittorietà intrinseca della motivazione.
In tesi di parte appellante la sentenza di primo grado sarebbe errata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo proposto avverso la nota del 22 17 gennaio 2018, con cui era stata ordinata nei confronti di Bad 3 – all’epoca affittuaria dell’azienda di proprietà di Geri – la cessazione dell’attività di cottura per la mancanza nel locale di canna fumaria per carenza di interesse alla decisione sia di Bad 3, sia di R.
Le appellanti, pur evidenziando come le censure siano state comunque scrutinate nella disamina del secondo ricorso per motivi aggiunti, lamentano come la declaratoria di inammissibilità, in quanto avvenuta senza il previo avviso di rito di cui all’art. 73 comma 3 c.p.a. , sia comunque violativa di tale disposto.
Assumono come detta declaratoria sia in ogni caso erronea, non avendo il primo giudice debitamente considerato l’interesse all’impugnativa tanto di Bad 3, destinataria del provvedimento oggetto di gravame prima che la stessa provvedesse a subaffittare l’azienda a R, quanto di quest’ultima, in quanto subaffittuaria dell’attività ed intestataria della licenza (in virtù della SCIA depositata il 17 febbraio 2018).
II. Violazione, falsa applicazione dell’art. 19 l. 7 agosto 1990, n. 241;Violazione, falsa applicazione dell’art. 34, comma 5, cod. proc. amm.;Violazione degli artt. 24 e 111 cost.;perplessità, contraddittorietà della motivazione.
Con il presente motivo le appellanti contestano il capo della sentenza secondo cui la presentazione di una nuova SCIA all’esito dell’ordinanza di questa Sezione resa in sede di appello cautelare, non integrava una causa di cessazione della materia del contendere, nonostante la stessa non fosse stata oggetto di ulteriore provvedimento inibitorio da parte di Roma Capitale, evidenziando al contrario come, non avendo Roma Capitale mosso alcuna osservazione a detta SCIA, anche solo al fine di condizionare l’ampliamento delle utilità assentite dalla licenza amministrativa alla conferma da parte del TAR del provvedimento cautelare rilasciato dal Consiglio di Stato, dovesse per contro considerarsi definitivamente assentita la SCIA di subingresso presentata da R in data 5 novembre 2018 prot. n. CA/2018/211145.
III. Ingiustizia della sentenza per erronea applicazione dell’art. 7, comma 2, lettera d) della l.r. Lazio 29 novembre 2006, n. 21;erronea applicazione dell’art. 12 del r.r. Lazio 19 gennaio 2009, n. 1;erronea applicazione degli artt. 64 e 64-bis della delibera di Consiglio Comunale di Roma Capitale n. 7395/1932, successivamente aggiornata con delibera del 2 gennaio 1949, recante il regolamento d’igiene di Roma capitale;erronea applicazione dell’art. 3 l. 7 agosto 1990, n. 241.
In tesi di parte appellante la sentenza di prime cure sarebbe erronea per non avere correttamente applicato la normativa indicata in rubrica, come interpretata in numerosi arresti di questo Consiglio di Stato.
Segnatamente in tesi di parte appellante la normativa vigente ratione temporis consente che le vie di fumo tradizionali possano essere sostituite da impianti tecnologici “ purché in grado di abbattere il livello delle emissioni inquinanti ”;pertanto Roma Capitale, prima di vietare l’utilizzo dei sistemi alternativi, sarebbe tenuta a verificarne in concreto la percorribilità prevista a livello regolamentare, anche ex post , non potendo inibire l’esercizio dell’attività in assenza della doverosa verifica-
Per contro il T aveva erroneamente ritenuto di individuare nel coacervo normativo di riferimento (reso ancor più complesso dall’inadempimento di Roma Capitale nell’adozione del regolamento di cui all’art. 7 della L.R. 21/2009) l’impossibilità di accedere a sistemi alternativi di smaltimento dei fumi di cottura, salva la previa autorizzazione rilasciata caso per caso dall’amministrazione competente, ritenendo inoltre, erroneamente, che l’oggetto dell’indagine non potesse essere limitato ai profili ambientali (gli unici considerati dalla normativa vigente), ma dovesse estendersi anche ai profili inerenti il diritto alla salute.
Pertanto, in tesi di parte appellante, sarebbe del tutto arbitrario ipotizzare la necessità del rilascio da parte del Municipio di un “ permesso ” all’utilizzo di filtri a carboni attivi, previa verifica della relativa funzionalità da parte degli uffici comunali o della ASL.
Inoltre, secondo la prospettazione di parte appellante, non sussistendo alcun obbligo normativo di espulsione dei fumi di cottura attraverso la canna fumaria, né alcun l’obbligo di preventiva autorizzazione da parte dell’amministrazione all’utilizzo di strumenti alternativi, i quali potrebbero, semmai, essere vietati ove non garantiscano l’abbattimento degli agenti inquinanti, i provvedimenti gravati in prime cure sarebbero illegittimi, non potendo lo svolgimento dell’attività di cottura essere inibito esclusivamente sulla base della mera presa d’atto della mancanza nel locale di una canna fumaria.
In tesi di parte appellante la Deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 12 del 5 marzo 2019, che ha introdotto nel Regolamento di Igiene di Roma Capitale l’art. 64 bis, darebbe ex post piena conferma della conformità alla normativa precedente dei sistemi di captazione dei fumi di cottura alternativi alla canna fumaria, non potendo al riguardo condividersi la considerazione del primo giudice secondo cui il riferimento allo ius superveniens contenuto nella memoria d’udienza avrebbe integrato una nuova (e pertanto inammissibile) censura, atteso che con tale deliberazione l’assemblea capitolina, nell’introdurre disposizioni più restrittive, faceva comunque salvi gli impianti attualmente in uso, prescrivendo loro di adattarsi alla nuova normativa in occasione della prima manutenzione straordinaria e, comunque, entro due anni dall’entrata in vigore della nuova disposizione, come evincibile dal comma 5.
In tesi di parte appellante, non essendo ancora decorsi i due anni dall’entrata in vigore della nuova disciplina, l’impianto a carboni attivi da essa utilizzato per l’attività di cottura dei cibi, dovrebbe considerarsi del tutto legittimo.
IV. Ingiustizia della sentenza impugnata per erronea applicazione dell’art. 7, comma 2, lettera d) della l.r. Lazio 29 novembre 2006, n. 21;erronea applicazione dell’art. 12 del r.r. Lazio 19 gennaio 2009, n. 1;erronea applicazione degli artt. 64 e 64-bis della delibera di consiglio comunale di Roma Capitale n. 7395/1932 recante il regolamento d’igiene di Roma capitale;erronea applicazione dell’art. 3 l. 7 agosto 1990, n. 241;violazione, falsa applicazione, degli artt. 99, 112 e 115 cod. proc. civ.;erronea applicazione dell’art. 97 della Costituzione;difetto di presupposti in fatto e in diritto, difetto di istruttoria, incongruità della motivazione, illogicità ed irragionevolezza, travisamento.
In tesi di parte appellante in ogni caso la sentenza di prime cure sarebbe erronea, per non avere debitamente considerato la funzionalità ed efficienza dell’impianto in più di un’occasione rappresentate al Municipio in sede procedimentale, senza che comunque l’Ufficio avesse provveduto ad alcuna verifica o riscontro, neppure a valle degli accertamenti compiuti dal verificatore nominato in sede di appello cautelare da parte di questo Consiglio di Stato.
L’efficienza dell’impianto peraltro, secondo parte appellante, sarebbe stata positivamente vagliata anche in sede di verificazione disposta con l’indicata ordinanza cautelare da parte di questo Consiglio di Stato, dovendo la piena idoneità alla stregua della normativa vigente ritenersi sussistente a prescindere dai suggerimenti dati dal Verificatore per il miglioramento dell’impianto.
Peraltro, in tesi di parte appellante, il primo giudice, nel discostarsi dalle risultanze della verificazione, non avrebbe delibato alcuna eccezione di parte, ma avrebbe proceduto d’ufficio.
6. Parte appellante ha inoltre riproposto in questa sede l’istanza risarcitoria, nella sussistenza a suo dire di tutti i presupposti dell’illecito aquiliano, ovverosia l’illiceità dell’azione amministrativa, attestata dalla manifesta assenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento di inibizione dell’attività di cottura, la colpa del soggetto pubblico agente (pur non necessaria, in tesi attorea, nell’ottica di integrare la responsabilità) nonché il nesso di causa tra la condotta dell’Amministrazione e i pregiudizi patiti dalle ricorrenti.
Il calo del fatturato, imputabile in tesi attorea alla illegittima sospensione dei processi di cottura, evincibile dalla documentazione allegata per il periodo in cui i provvedimenti interdittivi avevano avuto esecuzione, ovvero dal 23 gennaio 2018 (data in cui era stato notificato il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo) al 25 ottobre 2018 (data di ottenimento della sospensiva da parte del Consiglio di Stato), ammonterebbe, secondo parte appellante complessivamente a circa euro 400.000,00.
7. Si è costituita Roma Capitale eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’appello, violativo dei limiti dimensionali fissati dal Decreto Presidenziale del Consiglio di Stato n. 167/16 e ss.mm.ii, ex artt. nn. 3 e 8, siccome esorbitante dal limite dei caratteri e del numero di pagine ivi fissati, per la parte eccedente tali limiti, in assenza della preventiva autorizzazione presidenziale.
7.1. Nel merito ha insistito per il rigetto dell’appello e dell’istanza cautelare, nonché della domanda risarcitoria.
8. Si è del pari costituita la A.S.L., eccependo preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva sulla base del rilievo che la nota prot. n. 19880 del 09.03.2015 della Asl Roma A (oggi Asl Roma 1) richiamata nelle Determinazioni Dirigenziale di Roma Capitale oggetto di impugnativa, impugnate dalle appellanti insieme ai provvedimenti dell’Amministrazione Capitolina, sia unicamente una nota generica, di riscontro ad una richiesta di parere in merito all’obbligo di utilizzo della canna fumaria per le attività di somministrazione di alimenti dove si svolge la cottura dei cibi, non avente carattere vincolante. Né tantomeno questa nota, secondo la A.S.L., conteneva alcuna proposta di provvedimento di chiusura dell'attività di somministrazione di cibi e bevande svolta dalle ricorrenti.
8.1. Nel merito ha insistito per il rigetto dell’appello.
9. L’istanza cautelare presentata a corredo dell’atto di appello è stata accolta dalla Sezione, dapprima con decreto cautelare n. 4714/2020 e successivamente con ordinanza cautelare n. 5480/2020 alla stregua degli indicati rilievi “ Considerato che, ad una sommaria delibazione propria della fase cautelare ed alla luce delle risultanze della verificazione effettuata dall’ISPRA, sussistono i presupposti per l’accoglimento della articolata istanza cautelare ”.
10. La Sezione, all’esito dell’udienza pubblica del 16 settembre 2021 fissata per la trattazione di merito, ha adottato, in data 27 settembre 2021, ordinanza collegiale n. 6506/2021, con cui ha disposto un supplemento di verificazione, da affidare ai verificatori dell’ISPRA dott. ing. Gaetano Battistella e dott. ing. Maurizio Tocci, autori della relazione di verificazione depositata in data 18 gennaio 2019, al fine di chiarire “ se l’impianto tecnologico di smaltimento dei fumi adottato dalla parte appellante risulti idoneo a garantire la conservazione dei livelli di qualità dell’aria equivalente a quella garantita dalla via di fumo tradizionale ”.
11. I tecnici incaricati della verificazione hanno provveduto al deposito della relazione in data 29 marzo 2022, precisando come in entrambe le due zone di lavoro prese in considerazione – locale cucina e locale forno - si avrebbe il rispetto della qualità dell’aria esterna, ciò in quanto l’aria da depurare ricircola continuativamente nei “ locali confinati ” senza creare alcuna depressione, per cui viene rispettato quanto richiesto dall’Art. 64 bis del Regolamento di Igiene di Roma Capitale, per questa via, laddove, relativamente alla garanzia di un corretto microclima nei luoghi di lavoro del pari richiesto dall’Art. 64 bis del Regolamento, pur non spettando ai Verificatori incaricati l’effettuazione di detto controllo (essendo peraltro l’impianto andato in esercizio solo al momento del 3^ Sopralluogo come prova tecnica di funzionamento), poteva esprimersi parere favorevole per il locale cucina, mentre per il locale forno di cottura, rimaneva necessaria anche la verifica del microclima durante una fase lavorativa tipica, reale o simulata, ‘ope legis’.
Hanno pertanto concluso nel senso che “ per la equivalenza necessitano 2 circostanze che sono state verificate: 1) La qualità dell'aria esterna, che va bene, in quanto dal Locale non esce nulla di inquinante significativo. 2) Il microclima interno per chi ci lavora, su cui permangono ancora alcuni dubbi, anche se soltanto sul locale Pizzeria del nuovo Forno di cottura elettrico, perché il microclima in quella area di cottura non è stato possibile misurarlo, né risulta di competenza degli scriventi. Da quest’ultimo punto di vista, i Verificatori incaricati non possono non consigliare un filtro migliore per il nuovo Forno di cottura, con controlli adeguati da parte degli Enti competenti in materia (Asl Roma 1). Come considerazione conclusiva, la presente Verificazione Tecnica esperita chiarisce che l’impianto tecnologico di smaltimento dei fumi adottato dalla società appellante risulta idoneo a garantire la conservazione dei livelli di qualità dell’aria equivalente a quella garantita dalla via di fumo tradizionale”, alla stregua della normativa vigente, ma per ritenere idoneo il sistema di filtrazione adottato è necessario effettuare una indagine microclimatica almeno nel locale forno-pizzeria ed, a seguito dei risultati, confermare o meno la bontà del sistema di filtrazione adottato. Detta indagine dovrebbe essere effettuata dopo che gli impianti saranno messi in esercizio, e quindi a regime. A tale riguardo occorre fare una deduzione sull’impiego del sistema di filtrazione adottato, ovvero sull’impiego del carbone attivo, sul mantenimento della sua efficienza reale di filtrazione così come installato, e della organizzazione di un sistema manutentivo adeguato, come descritto nel nuovo progetto indicato in Annesso 2” .
12. In vista della trattazione di merito dell’appello, Roma Capitale ha prodotto articolata memoria difensiva, instando nei rilievi di inammissibilità e di infondatezza dell’appello già formulati e deducendo in ordine alla non rilevanza della nuova relazione di verificazione, in quanto fondata sulla sopravvenienza dell’art. 64 bis del Regolamento d’Igiene non posto a base degli atti impugnati in prime cure ed in quanto nel corso dei tre sopralluoghi effettuati non si era potuta verificare la reale funzionalità degli impianti.
12.1. Parte appellante con la memoria di replica ha precisato come l’impianto a carboni attivi attualmente istallato ed oggetto della verificazione disposta da questa Sezione in sede di merito sia diverso da quello oggetto dei provvedimenti impugnati in primo grado, la cui efficienza era stata peraltro valutata, a suo dire, con la precedente verificazione, disposta in sede di appello cautelare.
Pertanto in tesi di parte appellante, essendo attualmente in funzione un nuovo impianto, molto più performante del precedente, dovrebbe essere Roma Capitale a valutare la necessità di riesercizio del potere, al fine di valutare se il nuovo impianto rispetti i requisiti richiesti dalla sopravvenuta normativa di cui all’art. 64 bis del Regolamento d’Igiene.
12.2. Ha pertanto concluso nel senso di difetto di interesse alla decisione relativamente all’azione impugnatoria proposta in prime cure , fermo rimanendo l’interesse alla decisione ai fini dell’accertamento dell’illegittimità degli atti impugnati per lo scrutinio della domanda risarcitoria, a suo dire meritevole di pieno accoglimento, stante tra l’altro l’assenza di puntuali contestazioni ad opera di Roma Capitale.
12.3. La causa è stata trattenuta in decisione all’esito dell’udienza pubblica del 20 ottobre 2022.
DIRITTO
13. In limine litis va precisato come l’oggetto dell’odierno appello, avuto riguardo anche alle risultanze della verificazione che depongono nel senso che gli impianti di cottura attualmente in uso presso il locale di cui è causa, siano diversi da quelli oggetto dei provvedimenti impugnati in prime cure , come del resto precisato da parte appellante, debba essere limitato all’accertamento dell’illegittimità degli atti impugnati in prime cure , ai fini della delibazione dell’istanza risarcitoria, non sussistendo più l’interesse alla scrutinio della domanda impugnatoria, per essere i predetti atti riferiti ad un impianto non più esistente, avendo parte appellante inteso sostituire i vecchi impianti di cottura per adeguarsi alla normativa sopravvenuta di cui all’art. 64 bis del Regolamento di Igiene e Sanità di Roma Capitale, quale introdotto con Deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 12 del 5 marzo 2019.
13.1. Pertanto sarà onere di Roma Capitale rieditare, ove ritenuto necessario, avuto riguardo anche alle risultanze della verificazione depositata in fase di merito, il potere amministrativo al fine di verificare se il nuovo impianto, essendo decorso il periodo transitorio di due anni concesso agli esercizi che già disponevano di sistemi alternativi alla canna fumaria, rispetti le prescrizioni dettate dalla normativa sopravvenuta, nel rispetto peraltro delle competenze ben evidenziate da tale sopravvenuta normativa.
Ed invero detta norma regolamentare, rubricata “ Emissioni provenienti da attività non residenziali che effettuano cottura alimenti ” adottata dall’Assemblea capitolina in attuazione di quanto disposto dall’art 7, comma 2, Legge Regionale 29 novembre 2006, n. 21 nonché di quanto prescritto dall’art. 12 Regolamento regionale 19 gennaio 2009, n. 1, di attuazione della citata normativa, dispone: “ 1. Le emissioni provenienti da attività, non residenziale, di cottura di alimenti in cui si usino attrezzature quali forni, cucine ed assimilabili, devono essere captate e convogliate in appositi condotti di espulsione (camini, canne fumarie ed assimilabili) esterni alle mura dell'edificio o in apposito cavedio, costruite secondo le norme di buona tecnica. Le bocche terminali dei condotti di espulsione devono risultare più alte di almeno un metro rispetto al colmo dei tetti (e comunque alla quota prescritta dalla regolamentazione tecnica vigente), e ai parapetti posti a distanza inferiore a 10 metri. Le bocche dei condotti situate a distanza compresa fra 10 e 50 metri da aperture di locali abitati, devono essere a quota non inferiore a quella del filo superiore dell'apertura più alta diminuita di un metro, per ogni metro di distanza orizzontale eccedente i 10 metri.
Non è consentita la collocazione degli esiti dei condotti di espulsione in corrispondenza di terrazzi costituenti pertinenza di unità immobiliari.
2. È possibile installare apparati tecnologici diversi da quelli prescritti al comma 1, qualora sia stabilita, dagli enti competenti, l'incompatibilità del condotto della canna fumaria con la tutela o la salvaguardia degli edifici e dei contesti urbani di pregio artistico-architettonico, e subordinatamente alle seguenti condizioni:
a) attività le cui emissioni siano definite scarsamente rilevanti agli effetti dell'inquinamento atmosferico ai sensi del TU Ambiente - D.Lgs. n. 152/2006 e s.m.i.;
b) cottura degli alimenti con sole apparecchiature elettriche;
c) esclusione delle attività di friggitoria, in quanto attività ricadenti tra quelle classificate come industrie insalubri di seconda classe.
2.1. Laddove siano state verificate tutte le condizioni di cui al precedente comma, in alternativa al sistema di scarico a tetto dei fumi/vapori di cottura, potranno essere adottati apparati tecnologici di aspirazione e filtrazione ed abbattimento delle emissioni (sia della componente volatile che corpuscolata) contenute negli effluenti.
Il sistema di filtrazione ed abbattimento delle emissioni di cui trattasi dovrà essere progettato in funzione delle caratteristiche delle emissioni da trattare e delle modalità di esercizio dell'apparato, la cui idoneità è accertata dalla omologazione e dalla progettazione specifica dell'impianto complessivo.
L'effluente aeriforme trattato, dovrà essere re-immesso nel locale confinato senza alcuna espulsione nell'atmosfera esterna e senza pregiudizio per il microclima, l'acustica e la salubrità dell'aria e degli ambienti in cui sono installate le apparecchiature stesse.
Il progetto del suddetto apparato dovrà essere elaborato e firmato da tecnico abilitato il quale dovrà anche dichiarare la conformità dell'impianto installato sia al progetto che alle condizioni prestazionali indicate al comma 2 e alle norme vigenti in materia;inoltre dovrà essere identificato il soggetto che svolge la manutenzione dell'apparato, preferibilmente lo stesso installatore.
L'impianto complessivo dovrà essere progettato ai sensi delle norme di settore vigenti e nel rispetto dei seguenti requisiti minimi:
- conformità di ciascun componente tecnologico agli standard normativi (omologazione e certificazione di efficienza tecnica da parte di organismi abilitati e competenti in materia);
- il fluido derivante dall'eventuale presenza nell'impianto di uno stadio di trattamento ad umido, dovrà essere scaricato direttamente in fognatura previa realizzazione di un pozzetto d'ispezione dedicato esclusivamente allo scarico e tale fluido dovrà essere certificato dal tecnico conforme a quanto previsto in merito alla regolamentazione sugli scarichi di cui al D.Lgs. n. 152/2006 e s.m.i.;
- le caratteristiche tecnico-funzionali dell'impianto dovranno essere tali da evitare ogni pregiudizio per il microclima e la salubrità dell'aria dei locali in cui sono installate le apparecchiature stesse, nel rispetto della normativa vigente per la tutela dei lavoratori e la sicurezza alimentare;
- un piano di manutenzione ordinaria e straordinaria dell'impianto redatto dal progettista secondo le peculiarità dello specifico impianto in relazione alle condizioni di esercizio, che gestore/proprietario/responsabile dovrà sempre dimostrare di aver eseguito.
2.2. Nel caso in cui il funzionamento dell'intero impianto e/o gli accorgimenti tecnici previsti dal piano di manutenzione non siano sufficienti a garantire le condizioni di salubrità dell'ambiente di lavoro, di igiene degli alimenti e/o l'assenza di eventuali molestie olfattive al vicinato, dovranno essere previste misure tecnico-funzionali aggiuntive. In tal caso è fatto obbligo al gestore/proprietario/responsabile predisporre un piano di risanamento, elaborato e debitamente sottoscritto da un tecnico abilitato, atto a rimuovere le criticità riscontrate.
3. La verifica del mantenimento delle condizioni di conformità sotto l'aspetto microclimatico e
della salubrità dell'aria presente nei locali in cui sono svolte le attività disciplinate dal presente articolo è effettuata dagli Organi di controllo e vigilanza individuati dalla vigente normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Restano a carico degli organi di vigilanza e controllo dell'Amministrazione - Polizia Locale di Roma Capitale - quelli, esclusivamente di tipo documentale relativi alla completezza della documentazione, ivi compreso il contratto di manutenzione con ditta specializzata nel settore, preferibilmente lo stesso installatore, ed alla regolare tenuta del registro delle manutenzioni effettuate secondo il piano di manutenzione allegato al progetto e parte integrante dello stesso.
4. Sono fatti salvi tutti gli ulteriori obblighi di legge a carico del responsabile dell'attività e dell'impianto (acquisizione di autorizzazioni, pareri, nulla osta e/o atti di assenso). Il titolare dell'esercizio è tenuto a mantenere nel luogo dove viene svolta l'attività copia del piano di manutenzione ed esibirlo a richiesta degli organi preposti al controllo.
5. In occasione della prima manutenzione straordinaria dell'impianto e comunque entro due anni dall'entrata in vigore del presente articolo, le attività che già usufruiscono di sistemi alternativi ai condotti di espulsione, devono conformarsi alla presente disciplina.
Per l'accertamento delle violazioni al presente articolo sono competenti gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, ai sensi dell'art. 13 della L. 689/1981.
6. In violazione del presente articolo, verrà applicata la sanzione prevista per l'art. 64 del Regolamento d'Igiene - approvato con deliberazione n. 7395/1932 - stabilita nella tabella C, allegata alla deliberazione del C.C. n. 210/2003.
Per l'accertamento delle violazioni al presente articolo sono competenti gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, ai sensi dell'art. 13 della L. 689/1981.
7. Qualora nel corso delle attività di verifica e vigilanza vengano accertate le violazioni alle disposizioni del presente articolo, fatta salva l'applicazione delle sanzioni previste dalla vigente normativa di settore, il Municipio territorialmente competente dovrà invitare il Responsabile ad adeguarsi alle prescrizioni del verbale e, in caso di inadempimento, potrà valutare l'eventuale sospensione dell'esercizio dell'attività o la revoca dell'autorizzazione ".
14. Pertanto lo scrutinio della legittimità degli atti impugnati in prime cure , necessitato dalla persistenza dell’interesse alla decisione sulla domanda risarcitoria, va effettuato avendo riguardo alla normativa ratione temporis vigente, potendo al più il sopravvenuto art. 64 bis essere analizzato in via meramente interpretativa della precedente normativa relativamente alla problematica della legittimità dei preesistenti impianti di smaltimento dei fumi alternativi alla canna fumaria.
14.1. Ciò posto, avuto riguardo peraltro all’infondatezza della domanda risarcitoria, nel senso di seguito precisato, può prescindersi dalla disamina dell’eccezione di inammissibilità dell’appello per superamento dei limiti dimensionali massimi consentiti in assenza di previa autorizzazione presidenziale.
15. Deve in primo luogo osservarsi come il primo motivo di appello, riferito al capo della sentenza che ha ritenuto il ricorso introduttivo inammissibile per difetto di interesse, sia inammissibile per difetto di interesse avendo il T capitolino comunque affrontato, nell’esaminare il secondo ricorso per motivi aggiunti, basato sulle stesse censure di merito, valutato anche l’infondatezza delle doglianze ivi articolate, come peraltro emergente chiaramente anche dal dispositivo della sentenza appellata che ha giudicato il ricorso introduttivo non solo inammissibile ma anche infondato;pertanto, avendo comunque il T capitolino valutato le doglianze ricorsuali nel merito non si rendeva necessario il previo avviso di rito di cui all’art. 73 comma 3 c.p.a. come peraltro palesato dal capo della sentenza in cui si precisa. “ Ciò nonostante il Collegio non intende esentarsi dallo scrutinio dei due articolati mezzi di gravame ivi rassegnati;è solo che tale trattazione può essere posposta per essere affrontata con lo scrutinio del secondo ed ultimo dei ricorsi accessori promossi;e ciò in quanto in ciascuno dei (due) ricorsi accessori vengono testualmente riprodotte le doglianze descritte nel precedente. E tale scrutinio di cui il Collegio si fa carico consente così di ovviare alla dilazione dei tempi di definizione del giudizio (che un’ordinanza ex art.73 c.3 C.p.a. avrebbe imposto) venendo, in ogni caso, nel proprio seno, assicurata la disamina di tutti i profili di merito sollevati da parte attrice ”.
16. Da rigettare è inoltre il secondo motivo di appello, con cui viene censurato il capo della sentenza che ha evidenziato come l’ulteriore presentazione da parte di R di una S.C.I.A. in subingresso, all’esito dell’accoglimento dell’appello cautelare da parte di questa Sezione, non integrasse alcuna cessazione della materia del contende, sebbene la stessa non fosse stato oggetto di ulteriore provvedimento inibitorio da parte di Roma Capitale, dovendo sul punto condividersi la prospettazione del giudice di prime cure secondo cui “ ove l’Amministrazione definisce il procedimento avviato su iniziativa di parte determinandosi negativamente, essa non è tenuta a ripronunciarsi su una nuova richiesta se non giustificata dal mutamento del pregresso quadro fattuale e giuridico. Altrimenti detto non può assegnarsi dignità giuridica al contegno del privato che, nella speranza di conseguire per silentium ciò che gli è stato espressamente negato, pretenda che l’amministrazione debba destinare proprie risorse di mezzi e personale alla reiterazione – senza il supporto di alcuna circostanza sopravvenuta – di iniziative già procedimentalmente istruite e definite ”.
16.1. Al riguardo va precisato come non integrasse fatto sopravvenuto, in grado di giustificare la presentazione di una nuova S.C.I.A., il mero accoglimento da parte di questa Sezione in sede di appello cautelare dell’istanza cautelare, la cui funzione non poteva che essere quella di sospendere l’efficacia del provvedimento interdittivo già adottato nelle more della definizione del merito del giudizio di primo grado, avuto riguardo alla natura strumentale e temporanea delle misure cautelari.
17. Il terzo e quarto motivo di appello sono invece parzialmente fondati nel senso di seguito precisato.
18. Ed invero la sentenza appellata, nel rinviare ai plurimi precedenti della Sezione nonché all’ordinanza cautelare di rigetto – sebbene riformata da questa Sezione – ha ritenuto che “ al fine di superare il vincolo imposto dall’art. 64 del regolamento d’igiene del Comune di Roma e relativo all’obbligo di installazione della canna fumaria, non può considerarsi sufficiente la produzione in giudizio di una perizia circa l’idoneità dell’impianto alternativo a sostituire le vie di fumo tradizionali, dovendosi esigere l’accertamento – da parte ovviamente di professionisti che possiedono le conoscenze tecnico scientifiche idonee per effettuare, con i necessari strumenti, le misurazioni dei fumi e vapori evacuati dalla via di fumo alternativa utilizzata – che il sistema di scarico sia, concretamente, di efficienza e funzionalità tale da garantire una resa di livello pari o maggiore di quello assicurato da una via di fumo tradizionale e che tale accertamento, in sintonia con quanto previsto dall’art. 64 citato (“L'Ufficio d'Igiene potrà anche prescrivere caso per caso, quando sia ritenuto necessario, l'uso esclusivo dei carboni magri o di apparecchi fumivori”), sia condotto nel procedimento amministrativo con le competenti autorità e concluso prima dell’avvio dell’attività imprenditoriale oltre che assentito nelle forme di legge (TAR Lazio – Roma n. 10778/16;TAR Lazio – Roma n. 7708/16) ”.
18.1 Ha inoltre ritenuto, come precisato nella parte in fatto, come l’impostazione seguita dalla Sezione, anche in sede di appello cautelare, riferita alla sola garanzia dei livelli di qualità dell’aria della città, id est alla tematica ambientale, fosse inidonea alla salvaguardia dei valori garantiti dalla normativa vigente, tesi anche alla salvaguardia del bene “ salute ” e della “ sicurezza dei lavoratori” .
Ha infine ritenuto come la disposta verificazione non potesse pertanto portare a ritenere fondate le doglianza attoree non solo per la sua non pertinenza rispetto alle problematiche sottese, non avendo preso in considerazione gli aspetti igienico sanitari e dunque la materia della salute, ma anche perché la stessa non aveva dato esito completamente positivo, avendo il verificatore chiarito che per consentire al filtro utilizzato di mantenere un’efficienza di assorbimento del 90% delle sostanze organiche prodotte durante la cottura, “ è categoricamente necessaria una costante e rigida manutenzione del sistema filtrante sia per le sostanze particolate sia soprattutto per lo stadio filtrante a carboni attivi ”;inoltre devono coesistere due condizioni essenziali: a) una temperatura dei fumi di cottura al di sotto dei 40° Centigradi sul letto di carbone attivo (condizione questa che può essere garantita da una cappa aspirante di grande capacità la quale mantiene il giusto microclima per gli operatori addetti alla cottura e abbassa al di sotto dei 40° centigradi la temperatura dei fumi di cottura);b) un tempo di attraversamento dei fumi di cottura sul letto di carbone attivi di almeno un secondo, laddove nell’impianto di filtrazione presente questa seconda condizione non si realizzerebbe in quanto lo stesso “ pur avendo una discreta efficienza, garantisce la permanenza dell’inquinante solo per 0,125 secondi sul letto di carbone attivo al massimo della portata disponibile ”. Il risultato obbiettivo conseguito è che “ il flusso d’aria aspirato dalla cappa, circolando forzosamente nel condotto, passa troppo velocemente sul letto filtrante di carbone attivo senza poter, quindi , raggiungere l’efficienza richiesta stimata attorno al 90%”; ed ancora “La sezione di attraversamento deve pertanto essere aumentata per rallentare la velocità di attraversamento fino ad avere un tempo di contatto di almeno un secondo ”.
19. Ciò posto, con il terzo motivo di appello le appellanti lamentano l’erroneità della sentenza di prime cure sulla base del rilievo che la normativa vigente ratione temporis consente che le vie di fumo tradizionali possano essere sostituite da impianti tecnologici “purché in grado di abbattere il livello delle emissioni inquinanti”;pertanto Roma Capitale, prima di vietare l’utilizzo dei sistemi alternativi, sarebbe tenuta a verificarne in concreto la percorribilità prevista a livello regolamentare, anche ex post, non potendo inibire l’esercizio dell’attività in assenza della doverosa verifica.
Per contro il T aveva erroneamente ritenuto di individuare nel coacervo normativo di riferimento l’impossibilità di accedere a sistemi alternativi di smaltimento dei fumi di cottura, salva la previa autorizzazione rilasciata caso per caso dall’amministrazione competente, ritenendo infine che l’oggetto dell’indagine non dovesse essere limitato ai profili ambientali (gli unici considerati dalla normativa vigente), ma anche ai profili inerenti il diritto alla salute.
20. Il terzo motivo è fondato.
20.1. Ed invero il Regolamento di Igiene di Roma Capitale, approvato con deliberazione del Governatorato di Roma n. 7395 del 12 novembre 1932, all'art. 64 dispone per ciò che attiene l'utilizzo della canna fumaria, per gli esercizi in cui avvengono operazioni di cottura di alimenti con smaltimento dei fumi tramite la canna fumaria;lo stesso non deve peraltro intendersi preclusivo al ricorso di sistemi di cottura alternativi alla canna fumaria, prevedendo sic et simpliciter che “ nella città [di Roma] e nei centri abitati i fumaioli dovranno essere elevati al di sopra del fabbricato e, dove questo sia più basso di quelli contigui, prolungati sino ad una altezza sufficiente per evitare danno e incomodo ai vicini .
Sono eccettuati da questa disposizione i fumaioli delle stufe a coke ed a gas per il riscaldamento di singoli ambienti, purché non sbocchino sotto le finestre dei piani superiori.
Le canne fumarie dei forni, delle caldaie a vapore, dei caloriferi, dei focolai industriali ed impianti consimili dovranno essere totalmente esterne ed indipendenti da altre canne fumarie, tanto da escludere ogni danno ed incomodo agli abitanti.
Potrà tuttavia essere consentito che le canne fumarie di caloriferi domestici o di piccoli impianti industriali siano collocate nelle scale ovvero anche all’interno di muri corrispondenti a cucine, bagni o cessi, purché lo spessore del muro, ed i muri stessi abbiano intonaco interno o tubatura a perfetta tenuta ”.
La disposizione de qua pertanto è volta a dettare norme tecniche per fare in modo che – in un contesto fortemente urbanizzato – le canne fumarie siano realizzate in modo tale da evitare che i fumi che ne fuoriescono possano essere di disturbo ai vicini. Per quel che riguarda, invece, le attività produttive (come forni e caldaie a vapore – al tempo ancora esistenti – di attività industriali) la disposizione si limita a fare in modo che le canne fumarie utilizzate da queste ultime non siano promiscue con quelle di utenze domestiche, in modo da escludere danni o molestie agli abitanti.
La disposizione, però, non impone affatto che lo smaltimento dei fumi di cottura avvenga necessariamente tramite canna fumaria, né esprime alcuna preferenza per l’utilizzo della canna fumaria rispetto ad altri sistemi di espulsione dei fumi.
Al contrario, la disposizione, all’ultimo comma, prevede espressamente che “ l’Ufficio d’Igiene potrà anche prescrivere caso per caso, quando sia ritenuto necessario, l’uso esclusivo dei carboni magri o di apparecchi fumivori ”;detta norma è da leggersi non nel senso della necessità di una previa autorizzazione per l’utilizzo di sistemi alternativi, ma nel senso che l’Ufficio potrà, caso per caso, vietare l’utilizzo della canna fumaria, imponendo il ricorso a strumenti alternativi, la cui legittimità si evince peraltro dalla successiva normativa regionale.
20.2. Infatti la Legge Regionale 29 novembre 2006, n. 21, che disciplina lo svolgimento delle attività di somministrazione di alimenti e bevande, all'art. 7, comma 2, prescrive che “ i comuni, con propri regolamenti, nel rispetto degli istituti di concertazione e partecipazione amministrativa, disciplinano in particolare, (....), l'utilizzo, da parte dei locali in cui si svolge attività di somministrazione di alimenti e bevande, di più moderni ed ecologicamente idonei strumenti o apparati tecnologici per lo smaltimento dei fumi, di preferenza senza immissione in atmosfera, e per la diminuzione dell'inquinamento acustico, con particolare riferimento ai centri storici ”.
Il Regolamento regionale 19 gennaio 2009, n. 1, di attuazione della citata normativa, all'art. 12 recita:
“ 1. I Comuni, nell'ambito degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi, garantiscono l'equilibrio tra le esigenze di tutela dei contesti urbani di particolare pregio artistico-architettonico e quelle di tutela della libera iniziativa economica e dei diritti acquisiti dagli esercizi già operanti all'interno dei contesti stessi.
2. Gli esercizi di cui al comma 1 possono utilizzare, in alternativa alle canne fumarie, altri strumenti o apparati tecnologici aspiranti e/o filtranti per lo smaltimento dei fumi, la cui idoneità è accertata secondo la normativa vigente in materia .”
La normativa regionale pertanto non impone affatto l’utilizzo della canna fumaria, ma addirittura esprime una chiara preferenza per il ricorso a strumenti alternativi che evitino l’immissione di fumi nell’atmosfera.
20.3. La Sezione, avuto riguardo al vuoto normativo vigente ratione temporis , non avendo il Comune ottemperato per lungo lasso di tempo all’adozione della norma regolamentare richiesta dall’art. 7, comma 2, Legge Regionale 29 novembre 2006, n. 21 e dall’art. 12 del r.r. 19 gennaio 2009, n. 1 , avendovi provveduto solo con la deliberazione dell’Assemblea capitolina n. 12 del 5 marzo 2019, con la quale si è provveduto ad inserire l’art. 64 bis nel Regolamento di Igiene, approvato con deliberazione del Governatorato di Roma n. 7395 del 12 novembre 1932, ritiene che non vi siano ragioni per discostarsi al riguardo dai propri precedenti in materia.
20.3.1. Pertanto va chiarito che:
- nessuna disposizione vigente ratione temporis impedisce in assoluto l’utilizzabilità nel centro storico di Roma di sistemi di dispersione dei fumi di cottura alternativi alla canna fumaria;
- al contrario, la normativa vigente consente che le vie di fumo tradizionali possano essere sostituite da impianti tecnologici “ purché in grado di abbattere il livello delle emissioni inquinanti ”;
- pertanto Roma Capitale, prima di vietare l’utilizzo dei sistemi alternativi, è tenuta a verificarne in concreto la percorribilità prevista a livello regolamentare;
- detta verifica può essere compiuta anche ex post, non sussistendo alcuna disposizione che imponga all’ufficio una verifica preventiva, essendo al contrario illegittimo ogni ordine preventivo di cessazione che non segua un’accurata istruttoria;
- i profili oggetto dell’odierno contenzioso attengono chiaramente alla tematica ambientale, “ mentre per eventuali inconvenienti legati ai vapori e agli odori sprigionati e convogliati nelle vicine proprietà soccorre la tutela civilistica contro le immissioni di cui all’art. 844 del codice civile ” (vds. in tal senso Cons. Stato, Sez. V, 11 ottobre 2018, n. 5870;in esatti termini Cons. Stato, Sez. V, 19 dicembre 2018, n. 7144;Cons. Stato, Sez. V, 7 gennaio 2019, n. 120;Cons. Stato, Sez. V, 21 gennaio 2019, n. 523;Cons. Stato, Sez. V, 21 gennaio 2019, n. 524;Cons. Stato, Sez. V, 29 aprile 2019, n. 2711;Cons. Stato, Sez. V, 29 aprile 2019, n. 2712;Cons. Stato, Sez. V, 29 aprile 2019, n. 2713;Cons. Stato, Sez. V, 3 maggio 2019, n. 2866;Cons. Stato, Sez. V, 3 maggio 2019, n. 5869;Cons. Stato, Sez. V, 3 maggio 2019, n. 5870;Cons. Stato, Sez. V, 3 maggio 2019, 2871).
20.3.2. Erroneo pertanto si rileva il riferimento alla tutela della salute dei lavoratori invocato nella sentenza appellata, avuto riguardo al rilievo che gli atti adottati da Roma Capitale ed oggetto del giudizio di prime cure non possono che essere vagliati alla luce delle competenze spettanti alla stessa, come chiarito anche dai verificatori con il deposito delle due relazioni di verificazione e come peraltro evincibile in via interpretativa anche dalla deliberazione dell’Assemblea capitolina n. 12 del 5 marzo 2019 che nelle premesse chiarisce come “ Relativamente alle competenze di igiene e tutela dei lavoratori, all'interno dei locali dove vengono effettuate attività di cottura di alimenti, gli stessi vengono eseguiti dagli organi di controllo e vigilanza, così come previsto dalla normativa vigente in materia di igiene e tutela dei lavoratori, che fa capo ai servizi SISP e SPRESAL delle AA.SS.LL., essendo materia connessa alla salute umana ”.
20.3.3. Nell’ipotesi di specie l’accertamento in questione non è stato affatto condotto dalla ASL, essendosi la stessa limitata con la nota richiamata nei provvedimenti di Roma Capitale, oggetto di gravame in prime cure , a fornire un mero parere tecnico, su richiesta di Roma Capitale, di carattere non vincolante, in merito all’obbligo di utilizzo della canna fumaria, senza prescrivere l’inibizione dell’attività di cottura, secondo quanto del resto evidenziato nel presente grado di appello, dalla medesima A.S.L..
20.4. Pertanto Roma Capitale non poteva disporre l’interdizione dell’attività di cottura senza verificare in concreto se l’impianto tecnologico di smaltimento dei fumi adottato dalla parte appellante risultasse idoneo a garantire la conservazione dei livelli di qualità dell’aria equivalente a quella garantita dalla via di fumo tradizionale.
Neppure può ritenersi che l’obbligo di utilizzo della canna fumaria possa evincersi dalla normativa tecnica UNI EN 13779:2008, recante norme tecniche per la “ventilazione per edifici non residenziali - prestazioni richieste per la ventilazione e i sistemi di condizionamento” atteso che nessuna delle disposizioni vigenti ratione temporis che disciplinano la somministrazione di alimenti e bevande richiama (espressamente o implicitamente) la normativa UNI EN 13779:2008; deve infatti precisarsi che alle normative UNI EN non può riconoscersi alcuna efficacia precettiva diretta nell’ordinamento, salvo che la relativa applicazione non sia espressamente richiamata da leggi o regolamenti nella disciplina di specifiche fattispecie (c.f.r. al riguardo con riferimento a fattispecie similare Cons. Stato, Sez. V, 11 ottobre 2018, n. 5870).
20.5. Peraltro che l’interpretazione della normativa vigente ratione temporis sia quella ritenuta dalla Sezione può evincersi in via interpretativa anche dal comma 5 del sopravvenuto art. 64 bis del Regolamento di Igiene, secondo cui “ in occasione della prima manutenzione straordinaria dell’impianto e comunque entro due anni dall’entrata in vigore del presente articolo, le attività che già usufruiscono di sistemi alternativi ai condotti di espulsione, devono conformarsi alla presente disciplina ” non potendosi ritenere che il riferimento, contenuto in tale diposto, ai sistemi alternativi ai condotti di espulsioni già in uso - come nella fattispecie di cui è causa - da adeguarsi alla normativa sopravvenuta, nel lasso di tempo indicato, siano solo quelli previamente autorizzati, dovendosi al riguardo applicare il noto brocardo secondo cui “ Ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit ”.
20.5.1. Ciò posto, il riferimento alla sopravvenuta normativa, contenuto nella memoria di discussione delle ricorrenti in prime cure, reiterato nell’atto di appello, non può ritenersi, al contrario di quanto dedotto nella sentenza di prime cure , come formulazione di una censura nuova, riferita peraltro ad una normativa sopravvenuta, dovendosi quel riferimento intendersi operato solo a sostegno rafforzativo dell’interpretazione della normativa ratione temporis vigente.
21. Fondato è il quinto motivo di appello nella parte in cui le appellanti lamentano come Roma Capitale prima di interdire l’attività di cottura avrebbe dovuto disporre gli opportuni accertamenti istruttori, avuto riguardo anche a quanto dedotto e documentato in sede procedimentale, laddove la stessa si è limitata ad interdire l’attività di cottura senza alcun accertamento;né i necessari accertamenti sono stati effettuati dopo il deposito della verificazione disposta da questa Sezione in sede di appello cautelare.
21.1. Per contro non può essere accolta la prospettazione attorea secondo la quale la verificazione disposta in sede di appello cautelare avrebbe dato esito completamento positivo, avendo i verificatori al riguardo evidenziato perplessità relativamente alla seconda condizione richiesta, ai fini della verifica dell’efficienza prescritta sul carbone attivo, rilevando “ che l'impianto di filtrazione a carboni attivi presente nell'attività esercita dal ricorrente, pur avendo una discreta efficienza, garantisce la permanenza dell'inquinante per solo 0,125 secondi sul letto di carbone attivo al massimo della portata disponibile.
La sezione di attraversamento deve pertanto essere aumentata per rallentare la velocità di attraversamento fino ad avere un tempo di contatto di almeno 1 secondo.
In parole semplici, il flusso d'aria aspirato dalla cappa, circolando forzosamente nel condotto, passa troppo velocemente sul letto filtrante di carbone attivo senza poter, quindi, raggiungere l'efficienza richiesta stimata dagli scriventi intorno 90 %.
Il sistema di filtrazione può quindi essere migliorato in modo da poter garantire un "tempo di contatto" di almeno un secondo e quindi un'efficienza del 90% con 1. Progettazione corretta rispettando i parametri più volte richiesti nel presente parere
2. Manutenzione: relativamente al buon funzionamento del sistema filtrante, si precisano i
requisiti minimi da garantire:
a) Registro dei consumi giornalieri e delle ore di esercizio;
b) Sistema di assoggettamento dello smaltimento dei filtri a carbone attivo come Rifiuti speciali pericolosi come richiesto dalla normativa\;
c) Tenuta dei Formulari di Identificazione del rifiuto correttamente smaltito (FIR).
3.Controlli — occorre prescrivere gli accertamenti sull'efficienza del sistema filtrante che
dovranno essere eseguiti da un'ente terzo (in analogia al Bollino Blu delle caldaie termiche o sistema equivalente).
Tutto quanto sopra, fatte salve le verifiche sanitarie ed amministrative” .
22. Proprio avuto riguardo alle risultanze non completamente esaustive di tale prima verificazione pertanto la Sezione ha disposto verificazione nella presente sede di merito, le cui risultanze peraltro si sono rilevate non pertinenti ai fini della definizione del merito del presente appello, in quanto la stessa ha riguardato non l’impianto oggetto della verifica in sede di appello cautelare, ma il nuovo impianto che parte appellante ha inteso realizzare per adeguarsi alla normativa sopravvenuta di cui all’art. 64 bis del Regolamento di Igiene.
23. Nonostante l’accertamento dell’illegittimità degli atti impugnati in prime cure peraltro, ad avviso del collegio, nel senso dianzi precisato, non sussistono i presupposti per l’accoglimento dell’azione risarcitoria, riferito ai minori profitti che le società appellanti avrebbero avuto nel periodo di interdizione dell’attività di somministrazione di cibi e bevande con sistemi di cottura, vale a dire fino all’accoglimento dell’appello cautelare da parte di questa Sezione.
24. Come noto infatti la responsabilità civile della pubblica amministrazione da attività provvedimentale, per quanto presenti caratteristiche peculiari rispetto all'illecito civile, va pur sempre ricondotta, secondo la prevalente giurisprudenza in materia, nell'alveo della responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2043 cod. civ., almeno per quanto riguarda l'identificazione dei suoi elementi costituivi: danno ingiusto, comportamento doloso o colposo, nesso di causalità tra azione ed evento (Cass. civ., SS.UU., 22 luglio 1999, n. 500).
24.1 Pertanto gli elementi costitutivi della responsabilità della pubblica amministrazione sono, sotto il profilo oggettivo, il nesso di causalità materiale e il danno ingiusto, inteso come lesione alla posizione di interesse legittimo;sul piano delle conseguenze, il fatto lesivo deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati;occorre allora verificare la sussistenza dei presupposti di carattere oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), e successivamente quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa della p.a.);con riferimento alla ingiustizia del danno, deve rilevarsi, altresì, che presupposto essenziale della responsabilità è l'evento dannoso che ingiustamente lede una situazione soggettiva protetta dall'ordinamento e, affinché la lesione possa considerarsi ingiusta, la lesione dell'interesse legittimo è condizione necessaria - anche se non sufficiente - per accedere alla tutela risarcitoria;occorre quindi anche verificare che risulti leso, per effetto dell'attività illegittima (e colpevole dell'amministrazione pubblica), l'interesse materiale al quale il soggetto aspira;ovvero il risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa non può prescindere dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest'ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante dal provvedimento illegittimo.
Infatti l'Adunanza plenaria ha anche di recente chiarito che la responsabilità in cui incorre l'Amministrazione per l'esercizio delle funzioni pubbliche è inquadrabile nella responsabilità da fatto illecito (Ad. plen. 23 aprile 2021 n. 7).
I requisiti della responsabilità da fatto illecito sono pertanto la presenza di una condotta imputabile, il danno ingiusto, il nesso di causalità e l'elemento soggettivo.
24.2. Pertanto, secondo l'orientamento costante della giurisprudenza ai fini della sussistenza di una responsabilità della p.a., causativa di danno da provvedimento illegittimo la valutazione non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell'illegittimità dell'azione amministrativa, dovendo, al contrario, il giudice svolgere una più penetrante indagine, estesa anche alla valutazione dell'elemento soggettivo (non del funzionario agente ma) dell'amministrazione intesa come apparato. In particolare, deve essere fornita la dimostrazione che la p.a. abbia agito quanto meno con colpa, in contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, di cui all'art. 97 Cost..
24.2.1. Da ciò consegue che in sede di accertamento della responsabilità della pubblica amministrazione per danno a privati conseguente ad un atto illegittimo da essa adottato il giudice amministrativo può affermare la responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento (ex multis Cons. Stato, Sez. V, 12 giugno 2009, n. 3750).
24.2.2. E’ pur vero che nella giurisprudenza si è anche affermato il principio secondo cui " in sede di giudizio per il risarcimento del danno derivante da provvedimento amministrativo al soggetto privato non è richiesto un impegno probatorio per dimostrare la colpa dell'Amministrazione, potendo egli limitarsi ad allegare l'illegittimità dell'atto in ipotesi foriero di danno e dovendosi fare rinvio, al fine della prova dell'elemento soggettivo della responsabilità, alle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all'art. 2727 c.c.... " mentre spetta "... all'Amministrazione dimostrare l'insussistenza dell'elemento psicologico, mediante la deduzione di circostanze idonee ad integrare gli estremi dell'errore scusabile” (Cons. Stato, Sez. III, 1 aprile 2015 n. 1717).
Alla stregua di tale indirizzo giurisprudenziale l’illegittimità del provvedimento determina una presunzione di colpa in capo alla pubblica amministrazione, sicché l'onere probatorio a carico del richiedente può ritenersi assolto con l'indicazione di tale circostanza, mentre grava sull'amministrazione l'onere di provare l'assenza di colpa attraverso l'errore scusabile derivante da contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione della norma o dalla complessità dei fatti ovvero, ancora, dal comportamento delle parti del procedimento (Consiglio di Stato, sez. VI, 13 luglio 2022, n. 5897).
24.3. Peraltro la giurisprudenza, quanto ai fattori in grado di escludere la colpa dell’amministrazione, ha individuato le seguenti ipotesi esimenti:
- esistenza di contrasti giurisprudenziali nell'interpretazione e nell'applicazione delle norme di riferimento;
- formulazione poco chiara o ambigua delle disposizioni che regolano l'attività amministrativa considerata;
- complessità della situazione di fatto oggetto del provvedimento e pertinenti difficoltà istruttorie;
- illegittimità derivante dalla successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata con l'atto lesivo (Cons. Stato, Sez. IV, 31 marzo 2015 n. 1683).
Pertanto, ai fini dell'accertamento della responsabilità, perché si configuri la colpa dell'amministrazione, occorre avere riguardo al carattere ed al contenuto della regola di azione violata: se la stessa è chiara, univoca, cogente, in caso di sua violazione, si dovrà riconoscere la sussistenza dell'elemento psicologico. Al contrario, se il canone della condotta amministrativa è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all'autorità pubblica un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà sussistere solo nelle ipotesi in cui il potere è stato esercitato in palese spregio delle menzionate regole di imparzialità, correttezza e buona fede, proporzionalità e ragionevolezza, con la conseguenza che ogni altra violazione del diritto oggettivo resta assorbita nel perimetro dell'errore scusabile, ai sensi dell'art. 5 c.p. (Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 2015 n. 1099;Idem, Sez. V, 7 giugno 2013 n. 3133;Idem, Sez. VI, 6 maggio 2013 n. 2419;Idem, Sez. IV, 7 marzo 2013 n. 1406;Cass. civ., SS.UU., 500/1999 citata).
E' necessario dunque tenere conto del comportamento complessivo degli organi intervenuti nel procedimento (Consiglio di Stato, sez. III, 14 maggio 2015, n. 2464) anche al fine di accertare che <la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato>(Consiglio di Stato, sez. III, 11 marzo 2015 n. 1272)".
24.4. Va infine evidenziato come l’art. 30 comma 3 c.p.a. prescriva nella seconda parte che “ Nel determinare il risarcimento del danno il giudice valuta tutte le circostanze di fatto ed il comportamento complessivo delle parti e, comunque esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza anche attraverso l’esperimento dei mezzi di tutela previsti” .
24.4.1. Tale norma nella sostanza costituisce applicazione del disposto dell’art. 1227 commi 1 e 2 c.c.
L'art. 1227 c.c., relativo al "fatto colposo del creditore", è infatti applicabile anche alla responsabilità aquiliana in virtù del rinvio operato dall'art. 2056 c.c. I due commi di questa disposizione riguardano due fattispecie diverse: il primo comma disciplina il concorso del danneggiato nella produzione dell'evento lesivo ed ha per conseguenza una ripartizione di responsabilità;il secondo comma presuppone, invece, già verificato l'evento lesivo, riguardando unicamente l'entità delle ripercussioni patrimoniali, ed ha per conseguenza la non risarcibilità di quelle che il creditore avrebbe potuto evitate con la normale diligenza.
24.4.2. Il consolidato quadro di principi elaborati a far data dal fondamentale pronunciamento del Consiglio di Stato in Adunanza plenaria (sentenza n. 3 del 2011) e al quale si sono conformati tutti i successivi arresti giurisprudenziali, ha restituito un assetto così sintetizzato (cfr. ex aliis, Cons. Stato, sez. IV, n. 2778 del 2018):
- la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l'impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall'ordinamento, oggi sancita dall'art. 30, comma 3, c.p.a., è ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un'interpretazione evolutiva del capoverso dell'articolo 1227 cit.;il comma 2 del suddetto articolo, operando sui criteri di determinazione del danno-conseguenza ex art. 1223 c.c., regola la c.d. causalità giuridica, relativa al nesso tra danno-evento e conseguenze dannose da esso derivanti;la disposizione introduce un giudizio basato sulla cd. causalità ipotetica, in forza del quale non deve essere risarcito il danno che il creditore non avrebbe subito se avesse serbato il comportamento collaborativo cui è tenuto, secondo correttezza;sul piano teleologico, la prescrizione, espressione del più generale principio di correttezza nei rapporti bilaterali, mira a prevenire comportamenti opportunistici e, in definitiva, l'abuso dello strumento processuale;
- a mente del comma 2 dell'art. 1227 c.c., il creditore è gravato non soltanto da un obbligo negativo (astenersi dall'aggravare il danno), ma anche da un obbligo positivo (tenere quelle condotte, anche positive, esigibili, utili e possibili, rivolte a evitare o ridurre il danno);tale orientamento si fonda su una lettura dell'art. 1227, comma 2, alla luce delle clausole generali di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e, soprattutto, del principio di solidarietà sociale sancito dall'art. 2 Cost.;
- il danneggiato è tenuto ad agire diligentemente per evitare l'aggravarsi del danno, ma non fino al punto di sacrificare i propri rilevanti interessi personali e patrimoniali, attraverso il compimento di attività complesse, impegnative e rischiose;l'obbligo di cooperazione gravante sul creditore, espressione del dovere di correttezza nei rapporti fra gli obbligati, non comprende l'esplicazione di attività straordinarie o gravose attività, ossia un facere non corrispondente all'id quod plerumque accidit;
- nel novero dei comportamenti ordinariamente esigibili dal destinatario di un provvedimento lesivo vi rientra anche la proposizione, nel termine di decadenza, della domanda di annullamento, quante volte l'utilizzazione tempestiva di siffatto rimedio sarebbe stata idonea, secondo il ricordato paradigma della causalità ipotetica basata sul giudizio probabilistico, ad evitare, in tutto o in parte, il pregiudizio, deve darsi risposta affermativa;
- anche le scelte processuali di tipo omissivo possono costituire comportamenti apprezzabili ai fini della esclusione o della mitigazione del danno laddove si appuri, alla stregua del giudizio di causalità ipotetica di cui si è detto, che le condotte attive trascurate non avrebbero implicato un sacrificio significativo ed avrebbero verosimilmente inciso, in senso preclusivo o limitativo, sul perimetro del danno;
- di conseguenza, la mancata impugnazione di un provvedimento amministrativo può essere ritenuto un comportamento contrario a buona fede nell'ipotesi in cui si appuri che una tempestiva reazione - anche grazie alla contestuale attivazione della tutela cautelare - avrebbe evitato o mitigato il danno;
- la tutela specifica avrebbe plausibilmente (ossia più probabilmente che non) evitato, in tutto o in parte il danno, così integrando la sua omissione la violazione dell'obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l'effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile;detta omissione, apprezzata congiuntamente alla successiva proposizione di una domanda tesa al risarcimento di un danno che la tempestiva azione di annullamento avrebbe scongiurato, rende configurabile un comportamento complessivo di tipo opportunistico che viola il canone della buona fede e, quindi, in forza del principio di auto-responsabilità cristallizzato dall'art. 1227, comma 2, c.c., implica la non risarcibilità del danno evitabile.
24.5. Applicando tali coordinate ermeneutiche deve ritenersi come nell’ipotesi di specie non ricorrono i presupposti per la richiesta tutela risarcitoria avuto riguardo per un verso all’assenza di colpa dell’amministrazione e per altro verso al comportamento processuale del danneggiato in grado in ogni caso di spezzare il nesso eziologico con il danno lamentato.
24.6. Quanto all’elemento soggettivo non rileva, ad avviso del collegio, la circostanza che la difesa di Roma Capitale si sia limitata ad evidenziare la propria assenza di colpa, avendo comunque la stessa fatto leva sulla legittimità dell’azione amministrativa, avuto riguardo alla normativa di riferimento, come anche costantemente interpretata dal giudice di prime cure.
24.6.1. Pertanto nel senso dell’assenza di colpa depone l’incertezza del quadro normativo di riferimento, per lo meno sino alla data di adozione dell’art. 64 bis del Regolamento di Igiene di Roma Capitale, nonché le oscillazioni giurisprudenziali da riconnettersi, per un verso all’interpretazione più rigorosa del giudice di primo grado, ampiamente riportata nella sentenza appellata, e per altro verso all’interpretazione, più recente, fatta per contro propria da questa Sezione, radicatasi peraltro in epoca successiva all’adozione degli atti oggetto del gravame in prime cure.
24.7. In ogni caso, a prescindere da tali rilievi, il danno, come allegato da parte appellante, in quanto riferito al calo dei profitti registratosi nel periodo in cui i provvedimenti interdittivi di Roma Capitale hanno avuto esecuzione sino alla pronuncia resa in sede di appello cautelare da questa Sezione, deve ascriversi al comportamento colposo dei ricorrenti in prime cure, idoneo ad interrompere il nesso di causalità.
Infatti gli stessi ben avrebbero potuto attivarsi in prime cure per ottenere celermente detta tutela cautelare, onde poi successivamente altrettanto tempestivamente azionare l’appello cautelare avverso l’ordinanza reiettiva, laddove gli stessi, come emergente dall’esposizione in fatto, all’atto di adozione da parte di Roma Capitale del provvedimento poi fatto oggetto di gravame con il secondo ricorso per motivi aggiunti, all’udienza del 30 maggio 2018, fissata per la trattazione dell’incidente cautelare, hanno richiesto un rinvio della trattazione ai fini della proposizione di detto ricorso per motivi aggiunti, salvo successivamente e contraddittoriamente richiedere alla successiva udienza camerale del 3 agosto 2018 la tutela cautelare sul solo ricorso introduttivo, impugnando poi l’ordinanza reiettiva innanzi questa Sezione con ricorso depositato (solo) in data 5 ottobre 2018, senza neppure richiedere la tutela cautelare monocratica ex art. 56 c.p.a., poi richiesta e concessa da questa Sezione in sede di impugnazione della sentenza oggetto del presente appello.
25. Alla stregua di tali rilievi, nonostante l’acclarata illegittimità degli atti amministrativi oggetti di gravame in prime cure, nel senso dianzi precisato, deve escludersi che sussistano i presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria.
26. Le questioni esaminate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati presi in considerazione tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ. sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ, sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663).
27. Sussistono peraltro eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo all’esito del contenzioso e alle ragioni della decisione, nonché alle complessità sottese questioni oggetto del presente giudizio, per compensare integralmente fra le parti le spese di lite.
28. Le spese della disposta verificazione vengono poste a carico di Roma Capitale, avuto riguardo all’illegittimità dell’azione amministrativa che ha reso necessario il ricorso a detto supplemento istruttorio, non rilevando la circostanza che lo stesso si sia rilevato inutile, non avendo alcuna delle parti inteso richiedere un chiarimento o la revoca della disposta verificazione all’atto della diversità dell’impianto oggetto di verifica, che ben avrebbe potuto essere evidenziata già all’atto del primo sopralluogo.
Le stesse vengono liquidate come in dispositivo, in conformità con la richiesta dei verificatori, da ritenersi congrua e rispetto alla quale non sono state mosse osservazioni.