TAR Catania, sez. II, sentenza 2023-08-03, n. 202302451
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Pubblicato il 03/08/2023
N. 02451/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00360/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO I
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 360 del 2015, proposto da
-OMISSIS-, -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati V D, G S, con domicilio eletto presso lo studio G S in Catania, via V. Giuffrida, 37;
contro
Comune di Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato D M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
dell’ordinanza ingiunzione n. -OMISSIS-, emessa il 28.11.14 e notificata l’11.12.2014, della Direzione Urbanistica e Gestione del Territorio del Comune di Catania, nonché di ogni ulteriore atto antecedente o successivo, comunque presupposto, compreso il verbale dei VV.UU. del 18.12.2012 n.-OMISSIS-.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Catania;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 15 maggio 2023 il dott. Pancrazio Maria Savasta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I. I ricorrenti sono proprietari, per successione ereditaria, di un lotto di terreno con annesso
immobile sito in contrada -OMISSIS-, via -OMISSIS- n-OMISSIS-, zona B di preriserva della R.N.O. “Oasi del Simeto”.
Il de cuius, -OMISSIS-, in comunione con la moglie -OMISSIS-, acquistava nel 1980 un tratto di terreno agricolo nel sito su indicato.
Successivamente, gli stessi realizzavano abusivamente un immobile e in forza dei vari condoni susseguitisi nel tempo la casa veniva regolarizzata dai di loro figli.
Nel 2012, i ricorrenti iniziavano lavori di risanamento dell’immobile senza alcun ulteriore titolo edilizio e, segnatamente, di seguito ad accesso della Polizia Municipale veniva accertata la loro esecuzione da parte del marito di una delle coeredi.
Previa comunicazione con nota del -OMISSIS- prot. n. -OMISSIS- di contestazione dell’intervento edilizio, rimasta senza riscontro, il Comune adottava l’ordinanza n. -OMISSIS-, emessa il 28.11.14, notificata l’11.12.2014, con cui è stata intimata la demolizione di opere abusive insistenti sul fondo, in considerazione degli ampliamenti e diversa distribuzione degli spazi interni di un preesistente manufatto, considerati nel loro complesso, come intervento di ristrutturazione edilizia”.
Con ricorso notificato il 7.2.2015 e depositato il 18.2.2015, i ricorrenti hanno impugnato siffatto provvedimento, affidandosi alle seguenti censure:
1) Difetto di legittimazione passiva – eccesso di potere per difetto di motivazione e difetto di istruttoria – travisamento dei fatti.
Il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo in quanto:
- le opere da demolire non sarebbero state realizzate dai ricorrenti in quanto risalenti ad epoca antecedente all’acquisto per successione ereditaria;
- il Comune avrebbe dovuto motivare in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico alla demolizione ulteriore al mero ripristino della legalità violata;
- il Comune avrebbe dovuto ponderare l’interesse pubblico alla demolizione con quello privato alla conservazione dell’opera, anche in ragione del tempo trascorso e della buona fede in capo agli eredi.
2) Violazione per errata applicazione dell’articolo 9 della L. 47/85 – violazione degli articoli 20 della legge regionale 71/1978, degli articoli 5 e 10 della legge regionale 37/1985, dell’articolo 10 della legge 47/1985 – eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria.
Gli interventi edilizi eseguiti dai ricorrenti consisterebbero nel ripristino e rinnovo della copertura e della parete nord dell’edificio, nella riparazione dei locali lavanderia e ricovero del motore dell’autoclave e nello spostamento di pareti interne.
Le opere contestate non andrebbero qualificate come ristrutturazione bensì come risanamento conservativo ai sensi dell’art. 20 della legge regionale 71/1978. Il volume tecnico dell’alloggio dell’autoclave sarebbe soggetto al regime delle pertinenze.
Infine, la diversa distribuzione degli spazi interni rientrerebbe tra le c.d. opere interne.
In definitiva, per effetto delle norme calendate, le opere contestate rientrerebbero tra quelle oggetto della semplice autorizzazione edilizia e comunicazione e non a concessione edilizia, sicché, ai sensi dell’art 10 della legge 47/1985 la loro abusiva realizzazione comporterebbe la sola sanzione pecuniaria e non la demolizione.
3). In via subordinata, violazione dell’articolo 9 della legge 47/1985 – eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione.
Anche a qualificare gli abusi come ristrutturazione edilizia, il Comune, ai sensi del comma 2 dell’articolo 9 della legge 47/1985, avrebbe dovuto irrogare la sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria attesa l’impossibilità di ripristinare lo stato dei luoghi.
In data 26/3/2015 per il Comune di Catania si è costituito in giudizio l’avvocato Anna Liuzzo con atto di mero stile.
In data 9/7/2020 per il Comune si è costituito, quale nuovo difensore, l’avvocato Agata Barbagallo, che in data 12/9/2022 ha depositato memoria deducendo:
- che l’ordinanza avrebbe ad oggetto interventi edilizi abusivi realizzate successivamente alla presentazione dell’istanza di sanatoria da parte del padre dei fratelli -OMISSIS-.
- che gli interventi realizzati dai ricorrenti andrebbero qualificati quale ristrutturazione.
In data 7/10/2022 per il Comune si è costituito, quale nuovo difensore, l’avvocato D M.
All’udienza di smaltimento del 15.5.2023 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
II. Il ricorso è infondato.
Infondato è il primo motivo atteso che, a prescindere dal rilievo secondo cui le opere oggetto dell’ordinanza impugnata sarebbero diverse e successive a quelle per le quali era stata chiesta la sanatoria dal padre dei fratelli -OMISSIS-, ai fini della legittimità dell’ordine non è necessario:
- che il destinatario sia autore materiale dell’abuso, essendo sufficiente che egli abbia la disponibilità dell’opera;
-che il Comune motivi in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico alla demolizione ulteriore al mero ripristino della legalità violata;
-che il Comune motivi in ordine alla prevalenza dell’interesse pubblico alla demolizione su quello del privato alla conservazione delle opere (cfr. T.A.R. Catania, sez. II, 05/04/2023, n.1138).
Infine, riguardo alla doglianza per cui il ricorrente non sarebbe l'autore dell'abuso rileva come la figura del responsabile dell'abuso non si identifichi solo nell'autore materiale dell'opera illecita, ma si riferisca anche a colui che di quell'opera ha la materiale disponibilità e, quale detentore, è in grado di provvedere alla demolizione restaurando così l'ordine violato.
Secondo consolidato orientamento, invero, i provvedimenti sanzionatori a contenuto ripristinatorio/demolitorio riferiti ad opere abusive hanno carattere reale e costituiscono illeciti permanenti, non essendo previsto l'accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la trasgressione, con la conseguenza che la loro adozione prescinde dalla responsabilità del proprietario o dell'occupante l'immobile, applicandosi gli stessi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell'irrogazione in un rapporto con la res, come la sua materiale disponibilità, tale da assicurare la restaurazione dell'ordine giuridico violato (ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 24/05/2022, n. 4115, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 23/06/2022, n. 1471).
Dunque, sia il soggetto che abbia la titolarità a eseguire l’ordine ripristinatorio in virtù del diritto dominicale, ossia il proprietario, che il responsabile dell’abuso, in quanto autore materiale degli interventi illeciti, sono destinatari della sanzione reale del ripristino dei luoghi (cfr. Cons. di Stato, 12/09/2019, n. 6147). I provvedimenti demolitori sono atti di tipo ripristinatorio e hanno la funzione di eliminare le conseguenze della violazione edilizia attraverso la riduzione in pristino dello stato dei luoghi che consegue alla rimozione delle opere abusive.
Coerentemente, l’ordine di demolizione può essere ingiunto al proprietario non responsabile dell’abuso e che non abbia la materiale disponibilità del bene, tenuto conto della natura permanente dell’illecito edilizio e del fatto che l’accertamento dell’abuso non richiede alcuna verifica quanto al dolo o alla colpa (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 26/05/2021, n. 1674). In conclusione, il ripristino dell’equilibrio urbanistico violato fa carico anche sul proprietario (cfr. T.A.R. Catania, I, 2762 del 16/09/2021).
Inoltre, questa Sezione ha di già stabilito (cfr. T.A.R. Catania, I, 19.4.2021, n. 1237) «che secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino” (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9).
«Si tratta di orientamento anche più di recente ribadito da condivisa giurisprudenza d’appello (cfr., ex plurimis, cit. Cons. Stato, sez. II, 3 febbraio 2021, n. 980;Cons. Stato, sez. VI, 30 novembre 2020, n. 7546) e di prime cure (cfr., ex plurimis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 22 febbraio 2021, n. 1140;T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 5 febbraio 2021, n. 335)».
Inoltre, l’abuso assume il carattere di illecito permanente e, come tale, rimane pur sempre “attualizzato”.
Pertanto (cfr. T.A.R. Catania, I, T.A.R. Catania, I, 27.7.2021, n. 2446), «poiché l'ordinamento tutela l'affidamento solo qualora esso sia incolpevole, mentre la realizzazione e il consapevole mantenimento in loco di un'opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del privato “contra legem”, ne consegue che il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso, con la precisazione che il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso (cfr., da ultimo, T.A.R. Campania Napoli, Sez. III, 06 settembre 2018, n. 5406)».
Dalla mancanza di tutela dell’affidamento, deriva l’irrilevanza della asserita impossibilità di accedere al condono, frattanto normativamente intervenuto.
Infondato è il secondo motivo di ricorso in quanto gli ampliamenti e la diversa distribuzione dello spazio interno, accertati dal Comune, rientrano nella categoria della ristrutturazione edilizia.
Va precisato che, una volta riconosciuto che gli abusi sono riferibili anche ai non autori, è da dire che la valutazione degli stessi va riferito al complesso delle opere realizzate in assenza del titolo edilizio, di guisa che vengono in rilievo non solo il rinnovo della copertura e la diversa distribuzione interna, ma anche gli ampliamenti contestati con l’ordinanza impugnata.
In particolare, il provvedimento impugnato assume la realizzazione sine titulo “nell’angolo nord-est, ampliamento in muratura con tetto in pannelli termocoibentati coperti da tegolato di mq 15,00 circa;nell’angolo nord-ovest della stessa casa, ampliamento di mq 3,60 circa, traslando la parete nord, e rifacimento della copertura con pannelli termocoibentati coperti da tegolato;nel lato sud della stessa casa ampliamento di mq 4 circa del locale lavanderia con tetto in legno e tegolato;nell’angolo nord-ovest del lotto, manufatto in muratura di mq 2 circa con tetto in tegolato;lavori di ristrutturazione e diversa distribuzione degli spazi interni”.
Dette opere, continua il provvedimento, “hanno modificato anche l’aspetto esteriore dell’immobile e sono state eseguite su aree vincolate da Leggi regionali vigenti a Riserva Naturale “Oasi del Simeto” . . . e quindi tutelate ai sensi dell’art. 142 del D.Lgs.vo 22/01/04 n° 42”.
Va premesso che tali ampliamenti non sono stati disconosciuti in ricorso, essendo stata dedotta soltanto la circostanza dell’estraneità alla loro realizzazione (cfr. pag. 6 del ricorso).
Ciò posto, il Collegio rileva che non vi sono censure riferite al vincolo paesaggistico, sicché (cfr., ex multis, TAR Catania, I, 10.3.2023, n. 781) “per consolidato orientamento giurisprudenziale l'impugnazione di un atto amministrativo di segno negativo, fondato su una pluralità di ragioni ostative, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportarlo, non può trovare accoglimento se anche uno solo dei motivi di doglianza resiste alle censure mosse”, ovvero, a fortiori, non sia stato oggetto di censure.
Invero, la stessa norma invocata da parte ricorrente (art. 10 della L. 47/85), stabiliva che “Quando le opere realizzate senza autorizzazione consistono in interventi di restauro e di risanamento conservativo, di cui alla lettera c) del primo comma dell'articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, eseguiti su immobili comunque vincolati da leggi statali e regionali nonché dalle altre norme urbanistiche vigenti, l'autorità competente a vigilare sull'osservanza del vincolo, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti, può ordinare la restituzione in pristino a cura e spese del contravventore ed irroga una sanzione pecuniaria da lire un milione a lire venti milioni” e non già la mera applicazione della sanzione.
Ribadito che nulla si deduce circa il mancato assenso paesaggistico, la mancanza del parere vincolistico appare dirimente.
Tanto sarebbe sufficiente per rigettare il ricorso.
Il vero è che, comunque, non appare debito escludere che nel caso in esame ci si trovi innanzi a un’ipotesi di ristrutturazione edilizia, il che, a priori , farebbe venire meno, ove mai utile per parte ricorrente (ma così non è) l’applicabilità del richiamato art. 10.
Intanto, va premesso che gli abusi nel loro complesso non hanno natura pertinenziale, dovendosi escludere che tra ampliamento e manufatto ampliato sussista il nesso di natura funzionale tipico delle pertinenze.
Altresì infondata è la censura secondo cui l’ampliamento di 3,60 mq circa realizzato nella parte nord ovest del manufatto sia riconducibile all’art. 1 l. r. 4/2005, essendo la nozione di ampliamento del tutto eterogenea a quella di “maggior spessore delle pareti perimetrali esterne” di cui alla lett. a dell’art. citato.
Resta comunque affermazione labiale, in considerazione della circostanza che la detta disposizione stabilisce che “al fine di concorrere alla realizzazione degli obiettivi della politica energetica comunitaria e nazionale, di promuovere il miglioramento dei livelli di coibentazione termo-acustica e di comfort ambientale nonché di favorire la sicurezza sismica degli edifici pubblici e privati, nel territorio della Regione non vengono computati ai fini del calcolo del volume edificato e della superficie coperta complessiva:
a) i maggiori spessori delle pareti perimetrali esterne, nella parte eccedente i 30 centimetri nel caso di nuove costruzioni ed i 50 centimetri nel caso di recupero di edifici esistenti, fino ad un massimo di ulteriori 20 centimetri”.
Ciò posto, ribadito (cfr. T.A.R. Catania, I, 8.5.2023, n. 1488) che “al fine di valutare l’incidenza sull'assetto del territorio di un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere va compiuto un apprezzamento globale;i molteplici interventi eseguiti non vanno considerati, dunque, in maniera “frazionata” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 19 ottobre 2022, n. 8906;invero, l’opera edilizia abusiva va “identificata con riferimento all'immobile o al complesso immobiliare, essendo irrilevante il frazionamento dei singoli interventi avulsi dalla loro incidenza sul contesto immobiliare unitariamente considerato”: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 marzo 2023, n. 3138)”, “l’ampliamento di un fabbricato preesistente non può considerarsi pertinenza, ma parte integrante dell'edificio e privo di autonomia rispetto ad esso, perché, una volta realizzato, ne completa la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinato (cfr. Cass. pen., sez. III, 13 dicembre 2017, n. 4139);come anche ribadito dalla giurisprudenza amministrativa, non può considerarsi pertinenza l’ampliamento di un edificio che per la relazione di congiunzione fisica con esso ne costituisca parte (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 19 aprile 2021, n. 1237;T.A.R. Umbria, sez. I, 22 febbraio 2021, n. 81)”.
Sicché, continua la detta decisione 1488/23, “il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio ovvero l’alterazione dell'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile è incompatibile con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono la realizzazione di opere che lascino “inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 febbraio 2023, n. 1853;Cons. Stato, sez. VI, 25 luglio 2022, n. 6519;Cons. Stato, sez. II, 2 aprile 2021, n. 2735;Cons. Stato, sez. I, 11 ottobre 2019, n. 2611)”.
E’ indubbio che gli ampliamenti hanno comportato una diversa consistenza e una differente sagoma dell’immobile, di guisa che appare debito parlare di ristrutturazione edilizia, comportante quale titolo edilizio, la concessione edilizia e, conseguentemente, l’inapplicabilità delle norme invocate da parte ricorrente.
Al netto di quanto già chiarito circa la valutazione complessiva, invero, ove mai adeguatamente dimostrata (ciò che non è avvenuto), sarebbe da considerarsi mera pertinenza soltanto il piccolo vano tecnico, posto che (TAR Catania, I, 1488/23 cit.) «la nozione di “pertinenza” enucleata dalla giurisprudenza amministrativa in materia edilizia è meno ampia di quella civilistica, in quanto ai suoi fini la funzione pertinenziale delle opere non può commisurarsi semplicemente al servizio reso all'edificio principale ma dipende anche dalla consistenza delle opere stesse, che devono essere tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio e comunque inquadrarsi nei limiti di un rapporto adeguato e non esorbitante rispetto alle esigenze dell'edificio principale (cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., sez. giur., 31 luglio 2017, n. 368)», sicché «il vincolo pertinenziale è riconoscibile soltanto in relazione a opere di modesta entità e accessorie rispetto a quella principale, quali i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto a quella considerata principale e non siano coessenziali alla stessa (cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., Ad. Sez. riun., 14 febbraio 2023, n. 77)».
Con la terza e ultima censura, assume parte ricorrente che anche a voler considerare per pura ipotesi le opere come rientranti nel concetto di ristrutturazione, il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo: all’uopo, la deducente, dopo aver richiamato l’art. 9, comma 2, della L. 47/1985, ha osservato che l'Amministrazione non ha proceduto alla valutazione circa l'impossibilità (o meno) di procedere alla demolizione ed alla irrogazione della sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento del valore venale del bene.
Infine, essendo materialmente impossibile la demolizione, doveva essere irrogata solo la sanzione pecuniaria e non la demolizione.
Il motivo è infondato.
Per costante e consolidato insegnamento giurisprudenziale, la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall'Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, che è successiva ed autonoma rispetto a quella che sfocia nell’ordine di demolizione: è in sede esecutiva, dunque, che la parte interessata può far valere la situazione di pericolo eventualmente derivante dall’esecuzione della demolizione delle parti abusive di un immobile (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 29 ottobre 2021, n. 7261).
Conclusivamente, il ricorso è infondato e, pertanto, va rigettato.
Le spese di giudizio, in ragione della natura interpretativa, possono essere compensate tra le parti.